Il 26 dicembre la Chiesa cattolica, quella ortodossa e diverse confessioni protestanti celebrano la Solennità di Santo Stefano, figura centrale della cristianità e primo martire a testimoniare con il sangue la propria fede. In Italia e in molti Paesi europei questa ricorrenza è riconosciuta come festa nazionale, una tradizione introdotta dallo Stato italiano nel 1947 per prolungare la solennità del Natale.
La collocazione della festa subito dopo la nascita di Cristo non è casuale: Stefano appartiene ai “comites Christi”, ovvero i compagni di Cristo, coloro che sono stati più vicini al percorso del Signore e i primi a renderne testimonianza attraverso il sacrificio supremo.
Le origini e il ministero diaconale del Santo
Le notizie biografiche su Santo Stefano provengono principalmente dal libro degli Atti degli Apostoli. Sebbene non si conoscano l’anno e il luogo esatto della sua nascita, il nome greco Stéphanos (che significa “coronato”) suggerisce un’origine ellenistica o un’educazione legata alla cultura greca.
Stefano fu eletto tra i primi sette diaconi della Chiesa di Gerusalemme. Gli Apostoli, non riuscendo a conciliare la predicazione con l’assistenza crescente verso i bisognosi, scelsero uomini di buona reputazione per il cosiddetto “servizio alle mense”. Stefano viene descritto come un “uomo pieno di fede e di Spirito Santo” (Atti 6,5). Il suo incarico venne ufficializzato attraverso l’imposizione delle mani, rito biblico che sancisce il conferimento di un ministero.
Il martirio e la testimonianza di fede
Oltre alle opere caritative, Stefano si distinse per il fervore nella predicazione e per il compimento di prodigi. Questo attivismo attirò l’odio di alcuni Ebrei della diaspora, che lo accusarono falsamente di blasfemia contro Mosè e Dio. Condotto davanti al Sinedrio, Stefano pronunciò un lungo discorso di difesa della fede, culminato in una visione mistica: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio» (Atti 7,56).
La reazione del popolo fu violenta: il giovane diacono fu trascinato fuori dalle mura della città e lapidato. Gli storici collocano l’evento intorno al 36 d.C., in un periodo di vuoto amministrativo romano dopo la deposizione di Ponzio Pilato, che permise al Sinedrio di eseguire condanne a morte tramite lapidazione. Durante il martirio, Stefano manifestò un perdono simile a quello di Cristo, esclamando: «Signore, non imputare loro questo peccato» (Atti 7,60). All’esecuzione assistette anche Saulo di Tarso, il futuro San Paolo, prima della sua conversione.
Il ritrovamento delle reliquie e il culto in Italia
Per secoli il luogo della sepoltura rimase ignoto, fino a quando, nel 415, un sacerdote di nome Luciano ebbe una visione in cui il saggio Gamaliele indicava il luogo dove giacevano Stefano, Nicodemo e altri compagni. Il ritrovamento delle reliquie diede impulso a una venerazione vastissima, documentata anche da Sant’Agostino, il quale riferì di numerosi miracoli legati al contatto con i resti del Santo.
In Italia il culto è profondamente radicato: quattordici comuni portano il suo nome e solo a Roma si contano circa trenta chiese a lui dedicate. Un caso particolare è rappresentato dalla comunità di Sessa Cilento, l’unica nel territorio cilentano ad averlo come Santo Patrono, dove i fedeli gli dedicano antichi canti devozionali: “O Stefano glorioso, o Stefano trionfante che a Dio donasti il sangue deh pregalo per me”.
Simbologia e patrocini
Nell’iconografia classica, Santo Stefano è rappresentato con la dalmatica rossa, la veste dei diaconi che richiama il colore del sangue versato. Tra i suoi attributi figurano la palma del martirio, il libro degli Atti degli Apostoli o il Vangelo, e le pietre, simbolo del metodo con cui fu ucciso.
È considerato il patrono dei diaconi, dei muratori e dei tagliapietre. Viene inoltre invocato dai fedeli per alleviare i dolori causati dai calcoli (il cosiddetto “mal di pietra”) e per il mal di testa, a testimonianza di una devozione che unisce il piano spirituale a quello della vita quotidiana.
