È un triste anniversario, quello di oggi, per Franco Alfieri. Esattamente un anno fa, all’alba del 3 ottobre 2025, le auto della Guardia di Finanza di Eboli raggiunsero la sua abitazione di Torchiara per trasferire l’allora sindaco di Capaccio Paestum al carcere di Fuorni. Alfieri rimase dietro le sbarre della casa circondariale di Salerno per oltre tre settimane, fino a martedì 29 ottobre, quando il Tribunale del Riesame di Salerno dispose l’attenuazione della misura cautelare, convertendola negli arresti domiciliari, cui è tuttora sottoposto.
Insieme ad Alfieri furono colpiti da misure cautelari anche la sorella Elvira, il capostaff Andrea Campanile, i vertici della Dervit Vittorio De Rosa e Alfonso D’Auria, e il funzionario comunale Carmine Greco.
Le accuse mosse al politico cilentano — all’epoca anche presidente della Provincia di Salerno — erano gravi: corruzione e irregolarità negli appalti. Intercettazioni ambientali e telefoniche spinsero i PM salernitani a richiedere per lui la custodia cautelare, prima in carcere e poi ai domiciliari. Nelle carte dell’inchiesta Alfieri veniva descritto come una persona scaltra, in grado di distruggere prove e influenzare l’attività politico-amministrativa; per questo motivo diverse richieste di misure alternative alla detenzione furono respinte.
Da quel momento, per Alfieri è iniziata un’escalation giudiziaria: prima una nuova indagine su presunte irregolarità negli appalti per Fondovalle Calore, Sottopasso di Paestum e Aversana; poi, il 27 marzo successivo, un nuovo mandato di arresto per un’accusa ancora più pesante: scambio elettorale politico-mafioso.
Secondo gli inquirenti, Alfieri avrebbe stretto un patto con Roberto Squecco, già condannato per reati legati alla criminalità organizzata. Anche in questo caso, il provvedimento cautelare si è tradotto in arresti domiciliari, tuttora in vigore.
Questa settimana, i giudici di Vallo della Lucania — a cui è stato trasferito il processo per corruzione per incompetenza territoriale del tribunale salernitano — hanno revocato la misura cautelare, sostituendola con l’obbligo di dimora. Tuttavia, gli arresti domiciliari per il caso Squecco restano in vigore, impedendo ad Alfieri di lasciare la propria abitazione.
Neanche le dimissioni da sindaco di Capaccio Paestum e, di conseguenza, da presidente della Provincia di Salerno, presentate il 27 febbraio, avevano modificato la sua condizione. Al di là delle cariche amministrative ormai decadute, Franco Alfieri ancora oggi non è ancora libero, a differenza degli altri indagati nel procedimento per corruzione e appalti truccati.
Il processo a Vallo della Lucania, celebrato con rito immediato, è iniziato la scorsa settimana; la prossima si tornerà in aula. Il Comune di Capaccio Paestum, che Alfieri ha guidato per oltre cinque anni, si è costituito parte civile.
A palazzo di città c’è chi indaga sull’attività posta in essere da Alfieri e sulle possibili influenze che la macchina amministrativa potrebbe aver subito. Una commissione d’indagine nominata dal Ministero dell’Interno è in azione negli uffici del Capoluogo dallo scorso maggio; ad agosto ha chiesto e ottenuto una proroga di tre mesi che scadranno il prossimo 16 novembre.
La vicenda sembra ancora lontana da una conclusione. Ad un anno dall’arresto, intanto, Alfieri è provato: la detenzione, prima in carcere e poi ai domiciliari, si è rivelata lunga e difficile. Ancora oggi, però, molti tra amici, colleghi e amministratori non perdono occasione per manifestare stima e vicinanza, soprattutto attraverso i social. Ma non manca – soprattutto tra i suoi avversari politici – chi è convinto della sua colpevolezza e auspica una rapida conclusione del processo.