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L’Italia ultima in Europa in tema di occupazione femminile: hai subito diversità di genere a lavoro?

Disparità lavoro femminile in Europa: l'Italia è ultima in classifica in tema di occupazione.

A cura di Chiara Esposito
Pubblicato il 14 Ottobre 2023
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Donna a lavoro

L’Italia continua a lottare per promuovere l’occupazione femminile. Attualmente il nostro Paese si trova al fanalino di coda in Europa: solo il 55% della popolazione femminile residente è impiegata nel mondo del lavoro, un tasso nettamente inferiore rispetto a molti altri Paesi dell’Unione Europea. Un dato certamente allarmante che segnala un divario significativo tra l’Italia e i paesi nordici, in cui la partecipazione femminile al mercato del lavoro si avvicina o supera l’80%.

Una realtà preoccupante

Secondo i dati Eurostat più recenti, l’Italia ha il tasso di occupazione femminile più basso tra i paesi dell’Unione Europea, soprattutto dopo la nascita di un figlio, il dato, cala ulteriormente. Risulta quasi paradossale pensare che nella maggior parte dei paesi dell’Unione le donne con 3 figli lavorano più di quelle italiane con un unico bambino. Uno scenario questo che ci pone sempre di più dinnanzi a strani interrogativi. Pensate che per raggiungere la media europea di disoccupazione femminile, l’Italia dovrebbe impiegare 433mila donne in più. Un ulteriore aspetto saliente, in merito al mondo del lavoro, lo rivela uno studio di Confcommercio il quale evidenzia un notevole divario nell’occupazione femminile tra le regioni settentrionali e meridionali dell’Italia. Nel Sud, il tasso di occupazione delle donne si attesta al 29,9%, mentre al Nord questa percentuale sale al 52%. Questa differenza geografica mette in evidenza le disparità economiche e sociali all’interno del Paese.

Ecco i risultati del sondaggio

Abbiamo così chiesto ai nostri utenti se, attraverso le loro esperienze lavorative, abbiano mai constato una diversità di genere. Il 68% afferma di sì. La risposta di Sara, inoltre, sembra racchiudere quanto abbiamo sottolineato fin qui: “Mi hanno fatto licenziare perché non potevano pagarmi la maternità, non ero produttiva per l’azienda, anzi un peso che si sarebbe, secondo loro, sempre più “aggravato” una volta tornata alla mia scrivania perché non avrei lavorato con la stessa libertà ( e aggiungerei schiavitù) di prima!”.

Quanto emerge in realtà, evidenzia un ostacolo ancora difficile da superare che non mira alle possibili soluzioni, come gli investimenti nell’infrastruttura per la cura dei figli, la flessibilità lavorativa, riforme concrete alle politiche familiari, sostegno all’imprenditoria femminile e molto altro ancora.

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