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Sauzicchi e suppressate uno sguardo al passato per un alimento d’oggi

Uno dei temi ricorrenti, soprattutto in questi tempi di crisi, è il ruolo fondamentale che avrebbe il turismo per il nostro Paese nonché il ritorno all’agricoltura in conseguenza della riscoperta dei ritmi e sapori della terra.

Redazione Infocilento

12 Ottobre 2015

Uno dei temi ricorrenti, soprattutto in questi tempi di crisi, è il ruolo fondamentale che avrebbe il turismo per il nostro Paese nonché il ritorno all’agricoltura in conseguenza della riscoperta dei ritmi e sapori della terra.

Il nesso “agricoltura e sviluppo economico” è al centro di numerosi dibattiti e fil rouge dell’Expo 2015 che vede nella Dieta Mediterranea made in Cilento i suoi punti cardine. Vuoi per la sua conformazione geomorfologica, vuoi per il clima, vuoi per la passione e l’attaccamento alla propria terra da parte dei cilentani, questo territorio vanta una conoscenza enogastronomica rimasta invariata nel corso dei secoli. Discorrere quindi sull’origine di prodotti divenuti simbolo di un territorio non risulta essere argomento superfluo ma utile a sottolineare quanto il “territorio Cilento” ha da offrire. E’ necessario, quindi, ricordare, in primis, che la sua grande ricchezza insediativa è motivata soprattutto dalle sue risorse naturali ed ambientali, e che le numerose occupazioni e/o immigrazioni che lo hanno visto “protagonista” sono essenzialmente dovute all’abbondanza di prodotti agricoli, resa possibile grazie alla sua posizione geografica, al clima favorevole, alle risorse idriche, alla qualità del terreno ed infine alla vicinanza del mare. Saltus (boschi, pascoli), così Seneca ed altri scrittori latini definivano quei monti che, come gemme preziose, si alternano a valli sinuose e ritenuti una ricchezza per l’allevamento. Il Saltus, infatti, è un’area boschiva poco densa, con ampie radure, ricca d’erba, con prati adibiti a pascolo per gli animali. Il terreno una volta disboscato veniva, in passato, utilizzato quale prato per gli armenti. Nasceva così una nuova economia che si diffuse sempre più nell’età imperiale basata, quindi, sullo sfruttamento del territorio per fini di allevamento. In questa fase storica bovini, equini ed ovini risultano essere (a dirlo sono le fonti storiche) le principali risorse dell’economia antica della regione cilentana. Un’economia produttiva confermata due secoli dopo allorchè in un arco di tempo purtroppo non ben definito dalle fonti (508/511 d.C.), Cassiodoro, ministro di Teodorico, invita i naviculares (proprietari di navi) a trasportare generi alimentari in Gallia (attuale Francia) afflitta all’epoca da una carestia. Fonte importante, quella appena ricordata, dalla quale si evince il perdurare della ricchezza produttiva della regione dove, a quanto pare, operavano imprenditori, commercianti, armatori (denominazioni rapportate ai giorni d’oggi) che intessevano rapporti commerciali in tutto il Mediterraneo esportando derrate alimentari. Una ricchezza produttiva sottolineata in imponenti mercati, come quello che si teneva agli inizi del Medioevo, presso Consilinum (Sala Consilina) nel sito di Marcellianum oggi san Giovanni in Fonte, un tempo Santuario di Leucotea dea delle acque. Il mercato si teneva dal 14 al 16 settembre e vi accorrevano acquirenti e venditori anche delle vicine regioni (Apulia, e Calabria). Ma entriamo nello specifico di quei prodotti che meglio caratterizzano il Cilento (soprattutto interno). Tutti i cilentani doc sanno cosa siano i sauzicchi e le suppressate, sapete che già nel Cilento romano erano uno dei prodotti più ricercati? Ecco come ne parla Apicio, il celebre autore del De re coquinaria, nella sua raccolta di ricette gastronomiche più volte menzionato da Seneca e Plinio il Vecchio. Carne di maiale, ben tritata, con grasso in abbondanza e mescolata con erbe aromatiche (cumino, santoreggia, ruta, prezzemolo, alloro) pepe intero, pinoli, salsa di pesce (garum). L’impasto, bene amalgamato, va introdotto in budella di suino ed infine appeso ad asciugare al fumo. I Romani amarono a tal punto questo prodotto da conferirgli il nome dalla regione di provenienza: Lucaniche (corrispondenti al nostro Cilento e Vallo di Diano). Questa ricetta però è stata in un certo senso “romanizzata” in quanto sono stati aggiunti elemanti tipici della cucina dell’antica Roma come il pepe, le erbe aromatiche ed il celebre garum appunto. Le Lucaniche originali, quindi, erano senza dubbio più semplici, potremmo dire più affini alle nostre suppressate: carne di maiale o di cinghiale ben tritata per un terzo grassa e per due tarzi magra, sale a seconda della quantità, se venivano impiegate erbe aromatiche sicuramente si trattava di erbe mediterranee immediatamente disponibili come ruta, prezzemolo, alloro, finocchio. L’impasto veniva, poi, trattato con vino (ancora in uso nel Cilento d’oggi) infine insaccata ed appesa ad asciugare al fumo. Le Lucaniche ebbero una tale diffusione da essere esportate in tutto il mondo romano non solo come prodotto tipico ma anche come procedimento di lavorazione. Tale, quindi, la loro fama da divenire anche oggetto di modi di dire o frasi a doppio senso. Ad esempio l’imperatore Caracalla (211-217 d.C) all’indomani di una vittoria militare sui Germani venne definito “Germanico” allorchè lui rispose ironico: “…allora se avessi vinto i Lucani mi avreste chiamato Lucanico?”. Per concludere antica origine hanno anche prodotti quali capicuoddi, longàne o longanèdde, parliamo in questo caso delle “ofellae” romane: carne di maiale salata, di forma rettangolare tratta dalla macellazione dei fianchi del maiale, con tre strati: cotenna, grasso e carne magra. Poi arrotolate e legate in forma cilindrica.

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