È passato oltre un anno da quando le porte del carcere, e successivamente quelle della detenzione domiciliare, si sono chiuse alle spalle di Franco Alfieri. Un anno di silenzio istituzionale, ma non politico. L’ex sindaco di Torchiara, Agropoli e Capaccio Paestum, nonché Presidente della Provincia di Salerno, è stato travolto da una tempesta giudiziaria perfetta: prima le accuse di corruzione e turbativa d’asta, poi l’ombra ancora più pesante dello scambio elettorale politico-mafioso.
Sulla carta, il quadro è quello di una caduta rovinosa. Un amministratore potente, capace di record di preferenze impensabili, che finisce nel mirino della magistratura per la gestione “disinvolta” della cosa pubblica. Eppure, la realtà sociale che emerge dai territori cilentani e della Piana del Sele racconta una storia diversa, dissonante rispetto alle carte bollate dei tribunali.
Il paradosso del consenso
Basta un post sui social network, un semplice riepilogo della sua parabola umana e politica, per scoperchiare il vaso di Pandora del sentimento popolare. Laddove la narrazione giustizialista si aspetterebbe indignazione e condanna, emerge invece una nostalgia palpabile. I commenti dei cittadini non sono sentenze di colpevolezza, ma appelli al ritorno.
Questo fenomeno merita un’analisi che vada oltre la semplice cronaca. Franco Alfieri incarna, per i suoi sostenitori, l’archetipo dell'”uomo del fare”. In un sud Italia spesso paralizzato dalla burocrazia e dall’inerzia, la figura dell’amministratore che asfalta strade, inaugura piazze e risponde al telefono è vista come un bene rifugio, superiore persino alla questione morale che comunque vale parzialmente in un contesto in cui manca una condanna.
Mentre la politica istituzionale e alcuni ex alleati gli hanno voltato le spalle – in quella che i fedelissimi definiscono una fuga opportunistica – la base elettorale sembra essersi cristallizzata. Il messaggio che arriva dalla pancia dei comuni amministrati è chiaro: “Meglio lui, anche con i guai giudiziari, dell’immobilismo attuale”.
Un territorio in attesa
La situazione amministrativa nei comuni un tempo feudo di Alfieri appare congelata in un limbo surreale. C’è chi sostiene, tra i detrattori, che gli arresti domiciliari non abbiano reciso il cordone ombelicale del comando e che le indicazioni continuino ad arrivare, silenziose ma perentorie. D’altra parte, c’è più di un’amministrazione orfana del suo leader carismatico che fatica a trovare una nuova identità.
Il “clima di attesa” citato da molti osservatori è velenoso. Bloccherebbe la crescita di una nuova classe dirigente e alimenterebbe la narrazione che senza l’uomo forte al comando nulla si muova. Se così fosse sarebbe il fallimento della politica intesa come sistema, che crolla quando viene meno il singolo interprete.
Giustizia e politica su binari paralleli
Ci troviamo di fronte a due processi. Il primo, quello penale, è in corso nelle aule di tribunale e dovrà accertare se il “sistema Alfieri” fosse davvero un meccanismo criminale fatto di appalti truccati e patti inconfessabili con la criminalità organizzata. Le accuse sono gravissime.
Il secondo processo, quello popolare, sembra aver già emesso una sentenza provvisoria di assoluzione politica. Per molti cittadini, pronti a ricandidarlo domani stesso, l’efficacia amministrativa condona le modalità operative.
In attesa che la giustizia faccia il suo corso, il territorio resta sospeso tra il ricordo di un’epoca di “decisionismo” e un presente incerto. E l’ombra di Franco Alfieri, paradossalmente, sembra allungarsi sempre di più proprio ora che l’uomo è fisicamente assente dalla scena pubblica.
