La Corte Suprema di Cassazione ha messo la parola fine al processo che ha visto protagonista Massimo Cariello, ex sindaco del Comune di Eboli, confermando la sua condanna per il reato di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio. La sentenza, depositata in Cancelleria l’11 settembre 2025, respinge gran parte dei ricorsi presentati dai legali della difesa, pur accogliendone uno cruciale relativo all’unicità del reato.
Il patto illecito e le intercettazioni
Secondo quanto accertato dai giudici, il reato è scaturito da un accordo illecito tra Cariello e Francesco Sorrentino, all’epoca dei fatti dirigente amministrativo e membro della commissione esaminatrice di un concorso pubblico a Cava de’ Tirreni. L’ex sindaco avrebbe chiesto a Sorrentino di agevolare due candidati, di cui una figlia di un consigiere comunale. In cambio, Cariello si sarebbe adoperato per bloccare la nomina di Salvatore Memoli alla presidenza del Consorzio farmaceutico intercomunale, un incarico che interessava a Sorrentino.
Le prove cardine dell’accusa sono state tre conversazioni intercettate tra i due, autorizzate nell’ambito di un diverso procedimento. La difesa ha contestato l’utilizzabilità di queste intercettazioni, sostenendo che non potessero essere considerate “corpo del reato” poiché il reato si sarebbe consumato solo con la successiva esecuzione delle prestazioni promesse. La Corte, tuttavia, ha respinto questa tesi, ribadendo la distinzione tra il perfezionamento del reato, che avviene con l’accettazione della promessa, e la sua consumazione, che si realizza con la successiva dazione dell’utilità.
Le contestazioni della difesa e la risposta della Corte
I difensori di Cariello, gli avvocati Valerio Spigarelli e Cecchino Cacciatore, hanno sollevato numerosi motivi di ricorso. Tra le contestazioni principali, vi era quella di inoffensività della condotta, in quanto l’intervento di Cariello per bloccare la nomina di Memoli sarebbe stato inutile. La difesa sosteneva che Memoli non avesse alcuna intenzione di assumere l’incarico e che comunque la sua nomina fosse preclusa da altre circostanze.
La Cassazione ha ritenuto la doglianza inammissibile e manifestamente infondata, sottolineando che ai fini della configurabilità del reato è sufficiente che l’agente pubblico strumentalizzi il proprio ufficio per un fine personale, indipendentemente dal raggiungimento effettivo dello scopo. Come dichiarato da Sorrentino stesso in una delle intercettazioni, «Io mi sono preso in carico quella cosa che mi hai detto… Pigliati in carico la mia sorte […] ci conto».
Altra doglianza verteva sulla presunta inoffensività del comportamento di Sorrentino, che si sarebbe limitato a fornire un elenco di argomenti generici ai candidati, non turbando la regolarità del concorso. Anche in questo caso, la Corte ha rigettato la censura, affermando che il reato di corruzione si configura già con l’atto contrario ai doveri d’ufficio, che nel caso specifico consiste nel fornire in anticipo argomenti d’esame e nel promettere di “aggiustare” gli elaborati.
L’annullamento parziale e la rifusione delle spese
Nonostante il rigetto della maggior parte dei ricorsi, la Cassazione ha accolto il quarto motivo sollevato dall’avvocato Spigarelli, relativo alla violazione dell’art. 81 cod. pen. per aver le sentenze di merito ravvisato due distinte ipotesi di corruzione, una per ciascun candidato favorito. La Corte ha stabilito che si configura un unico reato, poiché l’accordo corruttivo è stato uno solo, la controprestazione di Cariello unica e unica la persona offesa, ovvero la pubblica amministrazione.
Per tale motivo, la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e ha rinviato il caso alla Corte d’appello di Napoli per un nuovo giudizio sul punto. La Corte ha invece dichiarato definitivo l’accertamento di responsabilità e ha condannato l’imputato a rifondere le spese legali sostenute dalla parte civile, il Comune di Cava dei Tirreni.