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Referendum cannabis, il comitato promotore risponde alla bocciatura della Corte

A cura di Redazione Infocilento
Pubblicato il 2 Marzo 2022
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Referendum

Il 16 febbraio scorso, la Corte Costituzionale ha giudicato inammissibile il quesito referendario finalizzato alla depenalizzazione della coltivazione e del consumo a scopo ricreativo della cannabis. La decisione è stata spiegata in conferenza stampa dal presidente della Corte, Giuliano Amato; l’ex premier ha sottolineato come il quesito, così come formulato, modificando gli articoli 73 e 75 del “Testo unico sugli stupefacenti”, avrebbe implicato la legalizzazione di tutte le sostanze, incluse le cosiddette “droghe pesanti”, provocando una “violazione di obblighi internazionali” da parte dell’Italia; al contempo, avrebbe creato delle incongruenze a livello normativo, dal momento che il quesito non sarebbe stato sufficiente a modificare coerentemente le altre disposizioni attualmente vigenti in materia di sostanze stupefacenti. In sostanza, il referendum avrebbe permesso la depenalizzazione di condotte che altri dispositivi ritengono ancora penalmente rilevanti.

La replica del comitato per la legalizzazione della cannabis

La reazione del comitato che ha promosso la raccolta di firme per il referendum a favore della legalizzazione della cannabis non si è fatta attendere. Attraverso il proprio sito di riferimento (referendumcannabis.it), il comitato ha diffuso un comunicato stampa in risposta alla pronuncia della Corte Costituzionale.

“Le argomentazioni del presidente della Corte” – si legge nella nota – “hanno riguardato il primo punto. Sotto tre aspetti, tra loro anche inconciliabili”. Circa la proposta di modificare il comma 4 dell’articolo 73 del “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”, il comitato ha precisato che non c’è stato un errore materiale nella formulazione del quesito.

Il comma 4, nell’interpretazione dei promotori del referendum, richiama le condotte riportate al comma 1 dell’articolo 73 del Testo unico, che include anche la coltivazione. Secondo il comitato, è evidente che “non si possa prescindere da una lettura combinata dei due commi” e, di conseguenza, “non si poteva fare altrimenti, dal momento che i due commi sono legati”. Pertanto, senza depenalizzare la coltivazione, si legge nel prosieguo della nota, sarebbe rimasta in vigore l’elevata sanzione pecuniaria attualmente prevista per questo tipo di condotta “mentre l’intento dei promotori era quello di decriminalizzare del tutto la coltivazione a uso personale”.

Le argomentazioni del comitato circa questo aspetto vertono anche su un altro punto: l’inciso “coltiva” (che il referendum puntava ad eliminare dal Testo unico) fa riferimento solo alle piante e, come sottolinea la nota stampa di referendumcannabis.it, “l’unica pianta che è possibile consumare come stupefacente è la cannabis”. Le altre sostanze, sottolinea il comitato, non vanno soltanto coltivate ma anche trasformate; le condotte relative alla effettiva produzione di sostanze stupefacenti “sarebbero rimaste punite nel comma 1 del 73. Questo non avrebbe comportato alcuna violazione degli obblighi internazionali”. Infine, spiega ancora il comunicato del comitato promotore, “ad andare esente da pena sarebbe stata la sola coltivazione rudimentale a uso personale e non anche quella all’ingrosso”, in riferimento alle possibili incongruenze normative paventate dal presidente Amato (rispetto alle disposizioni degli articoli 26, 27 e 28 del Testo unico).

Lo scenario attuale della cannabis in Italia

Con la bocciatura del referendum sulla legalizzazione, e in attesa che il Testo base adottato in Commissione Giustizia prosegua il proprio iter parlamentare, il quadro normativo relativo ai semi di cannabis in Italia resta di fatti immutato. Il recente decreto interministeriale sulle piante officinali ha ribadito come la produzione di canapa (ad eccezione di quella farmaceutica) resta sotto l’egida della legge n. 242 del 2016. Tali disposizioni consentono la commercializzazione di derivati della cannabis sativa con THC inferiore o pari allo 0,5%, come quelli in vendita su e-commerce specializzati quali High on life weed. Una percentuale così esigua di principio attivo (il THC è il composto organico che scatena gli effetti psicoattivi che caratterizzano la marijuana e l’hashish) fa sì che tali prodotti non determinano effetti psicotropi né provocano dipendenza; ragion per cui, sono ritenuti innocui.

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