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“Sei mesi all’ombra”: il viaggio di Alessio Mautone

" La morte non mi ha mai fatto paura. A me ha fatto paura il pensiero che la morte sia solo qualcosa di diverso da questa vita."

A cura di Antonella Capozzoli
Pubblicato il 14 Gennaio 2018
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” La morte non mi ha mai fatto paura. A me ha fatto paura il pensiero che la morte sia solo qualcosa di diverso da questa vita.”

Alessio è il protagonista di un racconto difficile. Ha vent’anni, tanti sogni e una passione su tutte: il teatro. La capitale lo accoglie, offrendogli la possibilità di realizzare se stesso in un mondo elitario, crudele, che sbarra le porte a chi non ha le carte in regola per sfondare.

L’ostacolo più grande, però, gli si presenta, inaspettato, sotto forma di una diagnosi.

” Il cancro è un’attesa”, spiega il protagonista nel suo libro, “significa camminare in una stanza buia con le mani avanti.” Un tempo rallentato, quella della malattia, che immobilizza, svuota. Eppure, non esiste più nient’altro: ” i Mostri” contro cui Alessio deve combattere iniziano a riempire ogni spazio, scandendo il ritmo delle conversazioni, dei respiri, delle pause. Le prospettive cambiano, i rapporti si evolvono, e la famiglia, per Alessio, diventa il salvagente a cui aggrapparsi quando le forze per superare la mareggiata sembrano davvero venire meno. Il baricentro, quando si è alle prese col cancro, vacilla. Alessio lo capisce, ne sperimenta la vertigine, e non si aspetta che l’incontro con Margherita, una giovane ragazza napoletana affetta da leucemia, possa restituirgli l’equilibrio irrimediabilmente compromesso. “Margherita era entrata nella mia vita senza chiedere permesso. […] Ridevamo, e anche se non c’era niente da ridere, noi avevamo trovato un modo per farlo. Era semplice, seppur banale.” La normalità, nel viaggio attraverso la malattia, è un miraggio dai contorni sfumati, impalpabile. Eppure, Alessio ne custodisce gelosamente il ricordo: è l’odore delle aule di teatro, l’emozione che stringe il petto prima di entrare in scena, il copione da studiare giorno e notte, la consistenza della carta fra le mani. La grande bellezza della capitale e tutto ciò che porta con sé, è una forza motrice che coinvolge e sconvolge Alessio, nonostante la terapia, le regole, i divieti. E’ la vita che lo chiama a gran voce, il palcoscenico che pretende il suo ritorno. “Loro, [ i miei affetti, in Cilento ] insieme a tanti altri, hanno reso più soffice il mio percorso, convertendo la malattia in una fase di transizione, tra il capriccio di rimanere piccoli e l’obbligo, irreversibile, di rimanere grandi.”  Crescere, per il protagonista, significa prendere coscienza dei propri limiti, della fragilità della condizione umana, della ferocia della malattia. Andare via, a volte, è tutto ciò che resta da fare per sopravvivere, per conservare intatta la parte di sé che dovrà rimettere insieme i cocci, ricominciare a lottare. La guarigione, non è soltanto una condizione fisica, e Alessio lo sa bene: nel corso del suo viaggio, la malattia gli ha sottratto tempo, passione, affetti, e il traguardo verso la rinascita promette di restituirgli una consapevolezza nuova, diversa, autentica.

In sette capitoli, densi di immagini, momenti e ricordi, l’autore rivive le sensazioni che lo hanno accompagnato nel corso della sua battaglia contro il cancro. Alessio Mautone ha, dalla sua parte, una storia vincente, perché autobiografica, autentica. Difficile, a volte, seguire il filo del racconto, che si presta a digressioni un po’ forzate, in uno stile non sempre scorrevole. Scrivere di se stessi, della parte più fragile, insicura, ferita, non è mai un’operazione semplice: l’autore non ha timore di esporsi, con tutte le contraddizioni e le criticità che una simile scelta si porta dietro.

 

 

 

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