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La politica è produrre risultati. Ma nel Cilento questo ancora non è chiaro

Studiare e proporre interventi per il nostro territorio significa anche prendere conoscenza di tutte le iniziative e tutti i progetti che si sono susseguiti nel corso degli anni e di valutarne i risultati prodotti.

A cura di Giuseppe Di Vietri
Pubblicato il 7 Marzo 2016
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Studiare e proporre interventi per il nostro territorio significa anche prendere conoscenza di tutte le iniziative e tutti i progetti che si sono susseguiti nel corso degli anni e di valutarne i risultati prodotti.

In questa attività mi sto trovando davanti una notevole produzione di documenti sul Cilento e sul Parco, una quantità di iniziative e di progetti (talvolta cofinanziati dall’Europa) che offrono importanti spunti e punti di partenza per analisi e riflessioni.
Tanti obiettivi, tanti progetti, tante attività ma quello che però manca a queste brochure, opuscoli e libretti vari (sia introduttivi che riepilogativi), è un’analisi dei risultati prodotti. Anzi spesso a mancare è proprio l’individuazione degli obiettivi da voler conseguire con l’intervento…
Per cui, in larga parte, questo studio si trova ad essere una mera elencazione di cose fatte e non di risultati ottenuti. A meno che non si voglia cadere nella improduttiva visione di confondere lo strumento con il fine e, quindi, che l’obiettivo del progetto è il progetto stesso e non i risultati che si volevano con questo conseguire.
Quello che manca, in maniera quasi generale nel nostro territorio, è ciò che ho avuto modo di trattare per altri aspetti in quest’altro articolo “Il dramma delle strade, la Piazza di Vallo e l’accelerazione della spesa”; quello che manca è un approccio manageriale alla strutturazione dei progetti che devono prevedere – secondo il Project Cycle Management – una serie di valutazioni, in itinere ed ex post, dell’azione progettuale, raffrontando i risultati attesi con quelli effettivamente conseguiti. La mancanza di predisposizione di indicatori e di attività di monitoraggio è una mancanza grave e colpevole che coinvolge direttamente le responsabilità di chi ha e ha assunto posizioni apicali in questi processi.
E perché:
·       Non si consente di valutare l’efficienza (ossia l’ottimale uso delle risorse impiegate) e l’efficacia (ossia la capacità concreta di aver raggiunto gli obiettivi prefissati);
·       Non si consente un aggiornamento, una correzione in corso d’opera e un’implementazione dei progetti;
·       Si elimina ogni metro oggettivo di valutazione e del progetto; si elimina ogni metro oggettivo di autovalutazione sull’operato, sulle capacità e sulle competenze dei responsabili del progetto; si  elimina ogni riferimento oggettivo che fornisca ai responsabili del progetto uno spunto per migliorare le proprie performance.

In tutti questi bei documenti ci sono tante preliminari analisi del contesto ex ante, che servono sostanzialmente a giustificare l’intervento, ma nulla è presente sul monitoraggio in itinere ed ex post. Il Project Cycle Management, oltre che il buon senso, richiede attività costanti di monitoraggio come parti integranti del progetto. La mancanza di controllo, di monitoraggio e di valutazione è uno dei fattori critici di insuccesso di un progetto. Non solo, ma quando manca il controllo, tutti gli interventi che ne sono sprovvisti
sono interventi di cui non si conosce l’impatto reale. E’ grave questo approccio e questo modo di fare perché non consente di rispondere alla domanda “quali obiettivi abbiamo raggiunto?”  E quindi : “è stato un buon progetto?”

E’ di fondamentale importanza spostare l’attenzione ai risultati e non sull’iniziativa in sé per sé, perché la cultura del risultato è quella che fa fare il salto di qualità e  che crea opportunità reali per il territorio.
Non basta il “fare”, ma è necessario il “fare per ottenere un risultato”. Il “fare” per il “fare” è autoreferenzialità pura, che trasforma gli interventi per il territorio in medagliette di cartone per chi li ha realizzati. Quello che interessa è ciò che si è “raggiunto” con quel “fare”, anche al fine di valutare se quel “fare” è stato un “fare bene” e, qualora non lo fosse stato, attraverso il monitoraggio si forniscono gli strumenti per calibrarsi sull’esperienza in maniera da “fare bene” in futuro.

C’è bisogno di affermare la cultura del risultato come metodo permanente di lavoro in ogni ambito della cosa pubblica e di interesse pubblico. Solo così si potrà incidere in maniera significativa e strutturale, altrimenti si continua a vivere alla giornata invidiando i grandi risultati raggiunti altrove senza prenderci la briga di capire quali metodi abbiano loro utilizzato.

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