Attualità

Anche gli studenti cilentani in piazza per dire “No all’Alternanza scuola – lavoro”

"Ecco perché protestiamo"

Anais Di Stefano

14 Ottobre 2017

“Ecco perché protestiamo”

Sentimenti di protesta, animi in rivolta e la voce di studenti che urla «non siamo burattini» ha dato il via, ieri 13 ottobre, ad un corteo in piazza a Salerno, composto da ragazzi provenienti anche dalle scuole cilentane – che ha interessato 70 piazze italiane –  per dire “No all’Alternanza scuola-lavoro”.

L’alternanza scuola-lavoro, obbligatoria per tutti gli studenti dell’ultimo triennio delle scuole superiori è una delle innovazioni de La Buona Scuola. Il progetto è un metodo didattico-formativo finalizzato a creare una comunicazione intergenerazionale – giovani, aziende, enti, istituzioni – ad una crescita e alla creazione di un alto profilo professionale e che prevede lo svolgimento di 400 ore negli istituti tecnici e professionali e 200 ore nei licei.

Un obbligo questo per gli studenti che diviene muro, repulsione, sfruttamento, disagio sino a tramutarsi in sfiducia per il futuro e lotta contro un sistema che potrebbe sfruttare i loro corpi. Tra di essi c’è anche chi in un primo momento ha creduto in questo progetto formativo: «Giusto se fatto bene!». Giusto perché darebbe loro la possibilità di conoscere il mondo del lavoro, di destreggiarsi tra le svariate offerte della contemporaneità, affinare la propria identità, dare spessore ai progetti futuri, provare a rendere più luminosa la strada da intraprendere. Un programma, però, che sin da subito si è rivelato privo di successo: «Non abbiamo possibilità di più scelte né proposte che possano alimentare la nostra creatività, ma soprattutto abbiamo assistito alla non disponibilità di enti ad accoglierci». Essi lamentano che le stesse aziende non hanno informato e formato loro sui compiti da svolgere. I liceali parlano di un’esperienza poco produttiva, applicabile solo per gli istituti tecnici e professionali, dove queste ore trasformate in stage diventano occasione di apprendimento e di un ingresso meno “drammatico” nel mondo del lavoro. Le loro proteste sono altresì alimentate dall’offerta di manodopera a costo zero per le aziende e dallo sfruttamento, che inevitabilmente si scontra con le poche ore di libertà, di svago, di formazione personale: vi sono casi di studenti che hanno rinunciato alla loro pausa estiva e sono divenuti miraggio per le strutture alberghiere; altri costretti a correggere pile di compiti per insegnanti impegnati.

Il percorso dovrebbe rappresentare un innovativo format didattico, l’intenzione di svecchiare le attività scolastiche. Una marcia, la loro, che però evidenzia la perdita di status di studenti e la scarsa fiducia in un progetto le cui strutture cominciano a sgretolarsi già dai suoi primi passi.

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