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Agropoli… il Vecchio ed il Convento di San Francesco

Un'eccezionale testimonianza del 1914

A cura di Ernesto Apicella
Pubblicato il 3 Ottobre 2017
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Un’eccezionale testimonianza del 1914

In vista del 4 ottobre, festa di San Francesco, ho letto nel mio studio un interessante libro sulla presenza del Santo di Assisi ad Agropoli, scritto nel 1914 . Ma…mentre ero immerso nella lettura del manoscritto, mi sono ritrovato, inaspettatamente, a risalire la stradina, sterrata e tortuosa, che dalla Marina conduce all’antico Convento di San Francesco!!! In lontananza intravedo il monastero, dirupo ed anonimo, sembra quasi abbandonato.

Incuriosito dalla strana situazione che stavo vivendo, accelero il passo e mi infilo in un’apertura dell’antico edificio. Attraversando uno stretto e buio corridoio, mi ritrovo nel cortile: mucchi di macerie, erba selvatica, arcate murate, fetore di stalla. Inoltrandomi vedo una porta spalancata, ne passo la soglia e un gatto, lesto, scappa via. E’ una celletta dei monaci tenuta per cucina, tutta incrostata di fumo. Sul focolare spento, un paiolino contenente un po’ di siero, una sudicia tavola, sedie impagliate, mestole e forchette di legno, formano gli attrezzi di quel rozzo e buio meandro. Mi giro per uscire quando:

“Ehi, Eccellenza.” Mi scuote una voce.

“Oh, buon giorno.” Rispondo.

E’ un vecchietto basso, curvo, dalle gambe quasi a roncolo, gentile e festoso nei modi e nelle parole. Si fa avanti col cappello in mano e a capo scoperto. “ Copritevi, copritevi.” Gli dico “ Voi state in casa vostra.”

“Mi scusi, buon uomo.” Gli chiedo ” Che giorno è oggi?”

“ E’ il 3 ottobre 1914, domani si festeggia San Francesco d’Assisi.” Mi risponde.

Non ho il tempo di pensare…di riflettere, che mi chiede:

“Come mai da queste parti?” “Beh…sono venuto per dare un’occhiata a quest’antico monastero, che si dice fondato dal Santo.” “Ah! peccato, peccato!!! E’ un pecorile, un porcile, adesso…Favorisca, Eccellenza!!!”. Per un corridoio oscuro, mi introduce in una stanza imbiancata, la cui masserizia consta di un letto matrimoniale, un cassone, una tavola e poche sedie bianchicce. Appiccicato al muro un quadro di San Francesco, tutto assorto nella contemplazione del Crocifisso . “Signorino mio, questa è la nostra abitazione: io e mia moglie. Adesso è fuori che zappetta il grano e bada alla capretta: la mattina e la sera si spiccica un po’ di latte e si busca per mangiare. Se non si vende, via, si fa cacio. Guardi.”… e con la mano destra accenna in alto. Dal soffitto pende, sostenuta da funi, un’asserella sulla quale, in fila, spiccano bianche caciotte. “ Stamattina se n’è fatto un po’… e corre premuroso al cassone, da dove estrae una caciotta fresca, bianchissima, ancora gocciolante e me lo porta fin sotto il muso. “ Prenda, è buonissima e pulita. L’ho fatta io, che quando mi ci metto, vado prima a lavarmi le mani, col sapone, sa!!! C’è altro ancora.”… e tira fuori una bottiglia di vino e un pezzo di pane nero. “ Roba vostra.” Mormora contento, posando tutto sulla tavola ed accostandovi una sedia. “ Grazie, grazie tante, buon vecchio.” Gli rispondo, sorpreso di tanta cortesia. “Ma senza scrupoli… noi siamo povera gente e offriamo alle Signore Eccellenze quanto c’è in casa…mangiate, mangiate.” “Grazie! A quest’ora no!!!” “Con tutto il cuore.” Esclama mortificato. Cosi dicendo, con fare quasi penoso, rinchiude nel cassone quanto mi era stato tanto gentilmente offerto. “ Addio, buon vecchio, proseguo la mia visita, grazie di tutto.”

“No, no, vengo anch’io.”

Girando attorno al monastero, il vecchio spesso scrolla la testa, ogni tanto sospira, stringe le labbra, smozzica parole come chi racconta storie di dolore e di angoscia. “ Signorino mio, la nostra gloria è finita!!!” Esclama infine. “ Tutta la colpa è di Gioacchino Murat!!!” – “E perché?” “Ora vi dico. La buon’anima di mio padre, il Signore l’abbia al regno suo e salute di mille anni all’Eccellenza, raccontava sempre che Murat ordinò nel 1806, il guasto dei Monasteri…quand’io non c’ero. Erano la ricchezza di Agropoli i monaci di San Francesco, diceva sempre la buon’anima. C’era fede e ogni bene, dalla campagna e dal mare. E ora? Non c’è più fede, non c’è più bene e il mondo va male. Miseria!… Peste!… Terremoti! Guerre! Signorino mio. E io sono nato con la cattiva gente, io!!!” Termina con un certo sdegno.

Nel mentre, da una porticella bassa di sotto l’antica torre sbucano fuori, a passo cadenzato, una zoria portante in testa un cesto di erba secca, poi un’altra e ancora una terza. Ripulendo la stalla le tre zorie , cantano canzoni cilentane, piene di speranza e di amore. Giungiamo in quella che era stata la sacrestia della chiesa. “ Eh, qui è il mio amore e tutto il mio dolore, Eccellenza.” Sbotta il vecchio con accento mesto, facendosi avanti, più svelto. Da una porta, entriamo in un locale scoperto: nicchie vuote, altari manomessi e sbriciolati, macerie ammucchiate, erbacce, ortiche, luridume!!! “ Non c’è più niente della Chiesa. Anche il campanile è scomparso.” Mormora il vecchio con amarezza. “ E dire che più volte ho tentato di rialzarla… Non sono stato aiutato mai, da nessuno…ho appena potuto fare pochi metri di fabbrica con il denaro di agropolesi emigrati in America, ma non l’ho potuta coprire. E qui c’è una lapide.” …ed inginocchiandosi, mi fa leggere l’iscrizione che menzionava la morte di una donna nel 1450, magnifica moglie, appartenente alla famiglia Selli di Prignano e con al centro il disegno di una pecora nera. “ Non l’hanno mai curata e si è lasciata qui a rompere. Dell’ossa della signora non sappiamo: sono forse sotto un altare di questi.” E si pulisce gli occhi con le dita. Tutto sembra giacere sotto il silenzio e la desolazione di quelle rovine.

“Ma c’è ancora da vedere?” Gli chiedo. “Lo scoglio di San Francesco.” Mi risponde.

“Signorino, se volete visitarlo vi tocca scendere a mare, io non ci vengo. Non ho le gambe vostre, io. Ma voi andateci. La grandezza di San Francesco è là!!!” E nel dire, accenna col dito a un punto di mare. “ Quello è lo scoglio.”… dette un sospiro e cominciò, come una predica il racconto del Serafico Frate: “ Eccellenza, San Francesco è stato da queste parti e questo Monastero lo fondò lui. Ma la gente di Agropoli non lo vollero ascoltare…gente senza fede!!! E allora il Povero Santo si rivolse alle creature del mare. Là sotto c’è uno scoglio in mezzo all’acqua e San Francesco andò un giorno a mettersi là. Le acque, quiete quiete, fecero movimenti come un freddo alle carni, e poi uscì un mormorio come di tante voci e poi… dove mai tanta specie di pesci? Sopr’acqua, l’avevano parata tutta quanta, pesci grossi, e pesci piccoli, triglie e merluzzi, calamai e seppie, sauri, cefali e cefalotti, tonni, palumbi e cernie e …chi può dirveli tutti? Con la boccuccia aperta, con gli occhietti vivi, con le pinne rialzate quasi volavano al Santo, l’attorniavano con amore e Lui che s’affannava, faticava a predicare a loro l’unione e l’amore e la magnificenza di Dio. Ah, che smacco per la gente di Agropoli senza fede! E San Francesco allora disse che il pulpito suo, lo scoglio, non dovevano passarlo mai le acque. E quando infuria e fa tempesta, e i cavalloni minacciano fino la rupe di Agropoli, la pietra sempre fuori! E gli antichi ci misero sopra, come segno del miracolo, una croce. Con tutto questo che sta succedendo, non si crede più. Prima, ogni marinaio era di San Francesco, viveva per San Francesco, e ora?… Vanno, vengono, svoltano lo scoglio, e non gli danno più nulla: non una preghiera, non uno sguardo, nemmeno una coda di pesce, più. San Francesco mio!!!”

Gli porgo la mano e gli stringo la sua, pienotta, ruvida e sformata: “Addio, buon vecchio, grazie di tutto! San Francesco ti accompagni e ti aiuti sempre.” Il vecchio si toglie il cappello con l’altra, e mormora: “Eccellenza!!!”… e nulla più. L’ho guardato ed è commosso, i suoi occhi sono bagnati di lacrime.

Riprendo il mio cammino e percorrendo un sentiero, tortuoso e scosceso, dopo essermi abbeverato con l’acqua santa, fresca e leggera, della fontana dei monaci, sono giunto a pochi metri dallo scoglio di San Francesco. Un rosso tramonto irradia lo scoglio, rendendo mistica e sacra l’atmosfera. Vedo avvicinarsi una paranza di un pescatore agropolese, al quale chiedo un passaggio fino alla Marina. Dal mare ammiro con rispetto l’imponenza della torre di avvistamento e del Convento di San Francesco. Mentre chiacchiero allegramente con il pescatore… all’improvviso, mi ritrovo di nuovo nel mio studio, immerso nella lettura del libro. Alzo gli occhi, guardo il calendario…3 ottobre 2017. Che sogno!!!

P.S. Nel 1956 con il contributo economico di Francesco Perrone, agropolese emigrato in America, furono poste sullo scoglio di San Francesco una croce ed una lapide marmorea. Il 4 ottobre 1974 fu aperta al culto, dopo un anno di lavori, la chiesa del Convento di San Francesco. Peccato che nella ricostruzione della nuova Chiesa, non si pensò di recuperare e restaurare, l’antica struttura del XIII secolo d. C.!!!

(Articolo liberamente tratto dal libro: “La Leggenda di San Francesco in Agropoli” del Prof. Nicola Forlenza, 1926)

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