Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Campania, Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), ha respinto il ricorso presentato dal Comitato Cittadino Le Cinque Terre, da alcuni privati e da un’azienda del posto che chiedevano l’annullamento di atti del Comune di Ogliastro Cilento relativi a un impianto di produzione di biometano.
La decisione ha dichiarato la manifesta infondatezza del ricorso, confermando la validità dei provvedimenti comunali e la legittimità della proroga dei termini per l’inizio dei lavori.
I motivi del ricorso e la contestazione dei termini
I ricorrenti avevano impugnato diversi atti, tra cui il provvedimento del Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Ogliastro Cilento che respingeva l’istanza di declaratoria di decadenza del provvedimento autorizzativo rilasciato alla società Bf S.r.l. in data 3 settembre 2021. La contestazione principale verteva sull’assunto mancato inizio dei lavori nel termine di un anno previsto dall’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, chiedendo la dichiarazione di intervenuta decadenza del titolo autorizzativo.
I ricorrenti avevano altresì chiesto l’annullamento della nota con cui il responsabile aveva dichiarato che i lavori sarebbero iniziati nei termini di legge e della relazione di sopralluogo che attestava l’inizio dei lavori. La società Bf S.r.l. si è costituita in giudizio in qualità di controinteressata.
La decisione del collegio e il principio della ragione più liquida
Il Collegio ha ritenuto di definire la controversia con sentenza in forma semplificata a causa della manifesta infondatezza del ricorso. In via preliminare, il TAR ha applicato il principio giurisprudenziale della “ragione più liquida“, che consente di decidere il caso sulla base della questione di più pronta soluzione, senza risolvere preventivamente le questioni logicamente antecedenti. Nel caso specifico, la decisione è stata presa sulla base dell’infondatezza nel merito della prospettazione ricorsuale, evitando l’esame delle eccezioni preliminari sollevate dalla parte resistente.
La proroga dei termini per l’inizio dei lavori
Il cuore della decisione riguarda l’interpretazione e l’applicazione delle norme in materia di termini per l’inizio dei lavori per gli impianti di produzione di energia. I ricorrenti avevano eccepito il decorso del termine annuale, ma il TAR ha richiamato la normativa sopravvenuta.
L’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, nella sua versione modificata, stabilisce che: “Per gli interventi realizzati in forza di un titolo abilitativo rilasciato ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, il termine per l’inizio dei lavori è fissato in tre anni dal rilascio del titolo”.
Sebbene l’autorizzazione fosse stata rilasciata il 3 settembre 2021, prima dell’introduzione del termine triennale (avvenuta con il D.L. 17 maggio 2022, n. 50), il Collegio ha ritenuto che il titolo deve ritenersi etero-integrato dalla novella legislativa e che di conseguenza l’effettivo termine per l’inizio lavori è quello di tre anni dal rilascio dell’autorizzazione.
Inoltre, il TAR ha considerato l’applicazione dell’art. 10-septies del Decreto-Legge 21 marzo 2022, n. 21, che ha previsto la possibilità di prorogare i termini per inizio e ultimazione lavori fino a un massimo di 36 mesi per le autorizzazioni rilasciate entro il 31 dicembre 2024. Avendo la società controinteressata richiesto di avvalersi della proroga il 14 febbraio 2024 (quindi prima della scadenza dei tre anni) e avendo il Comune autorizzato tale richiesta, il termine finale per l’avvio dei lavori è stato fissato in 36 mesi, a decorrere dal 3.9.2024.
Rigetto delle altre contestazioni e spese compensate
Il Tribunale ha respinto anche le censure relative a una precedente proroga di 12 mesi richiesta dalla Bf S.r.l. in data 20 luglio 2022, affermando che la proroga di un anno concessa dal legislatore è un effetto automatico discendente dall’art. 10-septies del D.l. 21/2022, vigente ratione temporis.
Infine, il Collegio ha ritenuto priva di pregio la contestazione di violazione dell’art. 10-bis della L. n. 241/1990 (omessa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento) in quanto, essendo l’atto impugnato strettamente applicativo delle norme di legge in materia e non discrezionale, l’omissione non comporta tout court l’illegittimità del provvedimento.
Per tali ragioni, il ricorso è stato respinto. Le spese di lite sono state compensate tra le parti in considerazione della peculiarità della vicenda e del generale andamento della causa.