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Il Puc di Pisciotta non va sospeso: legittimo il procedimento di adozione

Lo ha stabilito il T.A.R. Campania giudicando inammissibile ed infondato il ricorso dell’Osservatorio per la tutela dell’ambiente e lo sviluppo umano.

A cura di Comunicato Stampa
Pubblicato il 11 Ottobre 2019
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Con ordinanza n. 464/2019,  il Tribunale amministrativo regionale della Campania – sezione di Salerno ha respinto l’istanza di sospensione del piano urbanistico comunale di Pisciotta adottato lo scorso 11 marzo, avanzata dall’associazione ambientalista “Osservatorio per la tutela dell’ambiente e per lo sviluppo umano”.

Il contenzioso ha tratto origine dal ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, poi trasposto dinanzi al T.A.R., con il quale il sodalizio ha contestato l’impostazione del nuovo strumento pianificatorio del centro costiero cilentano, avversando, inizialmente, la delibera di giunta comunale n. 101/2017, diretta a revocare una prima versione del piano e, di qui, a ribadire i contenuti del preliminare già approvato con delibera n. 63/2016, di poi, censurando, con due ulteriori ricorsi per motivi aggiunti, le delibere di giunta comunale n. 18/2019 di adozione del p.u.c. e n. 62/2019 di valutazione delle osservazioni presentate dai cittadini.

Nel proporre l’impugnativa, l’organismo associativo ha contestato l’impianto pianificatorio del p.u.c., ritenendo che il Comune avesse impedito la partecipazione della comunità locale alla determinazione delle scelte di pianificazione, prevedendo un eccessivo incremento del carico urbanistico e disattendendo il procedimento di integrazione del vincolo paesaggistico, già presente sull’area d’interesse, avviato dal Ministero per i beni e le attività culturali lo scorso 21 febbraio e tuttora non concluso.

Tali rilievi erano già stati contrastati dal sindaco, Ettore Liguori, e dall’assessore all’urbanistica, Antonio Greco, i quali hanno rimarcato più volte la correttezza dell’iter seguito, precisando gli obiettivi di tutela e di sviluppo del territorio, da conseguire anche attraverso la valorizzazione del contesto paesaggistico e dell’identità locale e mediante la qualificazione dell’offerta ricettiva e di servizi.

Con la pronuncia assunta, il Tribunale Amministrativo Regionale, condividendo le tesi degli avvocati Antonio Brancaccio e Pasquale D’Angiolillo, difensori del Comune, ha posto in risalto il difetto di legittimazione della compagine ricorrente ad impugnare gli atti del piano, ritenendo le censure “non meritevoli di favorevole apprezzamento”, oltre che “inammissibili per carenza di interesse”, in quanto rivolte avverso provvedimenti assorbiti e sostituiti da atti sopravvenuti o, comunque, non lesivi.

Scendendo nel merito, il Collegio ha ritenuto legittimo l’operato dell’Amministrazione Comunale, sconfessando le argomentazioni dell’Osservatorio e fondando la propria decisione su un’articolata motivazione, avendo “precipuo riguardo”:

  • “all’insufficiente argomentazione e dimostrazione dei denunciati deficit partecipativi e delle rappresentate esigenze di riavvio dell’iter programmatorio sin dalla fase preliminare (delle cui risultanze non era da reputarsi in via di principio precluso il ponderato recepimento in sede di riadozione del PUC)”;
  • “alla situazione di mera pendenza dell’avviato procedimento di integrazione del vincolo paesaggistico ex art. 138, comma 3, del d.lgs. n. 42/2004 (cfr. nota del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio prot. n. 19763-P del 17 luglio 2019)”;
  • “alla natura complessivamente apodittica ed opinabile dell’impianto censorio allestito avverso i contenuti sostanziali dello strumento urbanistico adottato”.

Il T.A.R. ha condannato l’associazione al pagamento delle spese, in favore dell’Ente Locale, per complessivi € 1.500,00, precisando di aver “anche tenuto conto della violazione dei canoni ex artt. 3, comma 2, e 26, comma 1, cod. proc. amm.”, avendo valutato l’inosservanza del “dovere di motivazione e sinteticità degli atti”, incombente sulla ricorrente (art. 3, comma 2) e la presenza di “motivi manifestamente infondati”.

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