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Scandalo Kamarathon: le motivazioni della sentenza svelano la “gestione para-privatistica” del Comune di Camerota

Depositate le motivazioni della sentenza Kamarathon: l'ex sindaco di Camerota e dei funzionari dell'Ente condannati

A cura di Redazione Infocilento
Pubblicato il 30 Maggio 2025
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Sono state depositate le motivazioni del tribunale relative alla vicenda giudiziaria Kamarathon, che ha visto coinvolti l’ex sindaco di Camerota, Antonio Romano, e numerosi amministratori e funzionari comunali con pesanti condanne.

A cinque mesi dalla sentenza, il documento di 257 pagine traccia un quadro di quella che i giudici definiscono una gestione amministrativa “para-privatistica”, orientata sistematicamente alla soddisfazione di interessi personali anziché a quelli pubblici. I giudici sostengono che l’amministrazione Romano, coadiuvata da funzionari e consiglieri a lui vicini, avrebbe operato secondo logiche clientelari, alimentate da un rapporto diretto e utilitaristico con l’elettorato.

L’inchiesta sui tributi e l’uso distorto delle risorse pubbliche

L’indagine, scaturita dalla gestione irregolare dei tributi locali, in particolare della Tosap, ha rivelato un sistema in cui le risorse pubbliche sarebbero state utilizzate per finanziare missioni politiche, coprire spese personali e ottenere benefici privati. Le difese avevano sollevato la questione dell’inutilizzabilità delle intercettazioni, richiamando una sentenza della Cassazione.

Tuttavia, le motivazioni chiariscono che tale aspetto non ha avuto impatto sul processo, in quanto riferito a reati depenalizzati, prescritti o improcedibili. Le intercettazioni, definite dai giudici una “miniera di commenti”, documentano il linguaggio degli amministratori che descrivevano il Comune come una “troccolata”, ovvero un caos organizzato e privo di regole, e il loro operato come quello di chi “rema per i fatti propri”.

Espressioni che, secondo i giudici, dimostrerebbero la piena consapevolezza dell’illiceità delle condotte.

Appalti, favoritismi e “bancomat” societari

Tra gli episodi più gravi documentati, spicca l’uso dei fondi Tosap per spese non rendicontate, favoritismi nella concessione di parcheggi, sponsorizzazioni fittizie e una sistematica spartizione degli appalti tra cooperative riconducibili agli amministratori o ai loro familiari. Le società partecipate del Comune, come “La Calanca s.r.l.” e “Marina Leon di Caprera s.r.l.“, sarebbero state impiegate come “bancomat” per sostenere spese personali o per premiare elettori fedeli.

La logica della “fedeltà in cambio di favori”

Un passaggio centrale delle motivazioni evidenzia la logica della “fedeltà in cambio di favori”. Gli amministratori, si legge, “minacciavano di far cadere la giunta nel caso in cui le proprie richieste non fossero state esaudite”. Emblematico il caso dell’assessore Rosario Abbate, condannato a 14 anni, che avrebbe più volte minacciato di ritirare il proprio sostegno politico se non gli fossero state affidate specifiche competenze, in particolare nel settore cimiteriale, da cui avrebbe tratto vantaggi diretti.

Un altro esempio citato è l’impegno assunto dall’ex assessore Michele Del Duca, condannato a 1 anno e 8 mesi, di assegnare lavori da 50mila euro a un imprenditore nonostante l’assenza del Durc, in cambio del silenzio e del mantenimento della lealtà politica. I giudici hanno identificato Antonio Romano, condannato a 13 anni, e Antonio Troccoli, condannato a 12 anni e dirigente dell’Ufficio Affari Generali, come i promotori dell’associazione a delinquere. Accanto a loro, un ristretto gruppo di assessori e consiglieri, tra cui Ciro Troccoli (6 anni) e Fernando Cammarano (6 anni), avrebbero gestito in modo parallelo e spartitorio le principali attività del Comune.

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TAG:Cilento
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