Attualità

Dopo il covid si riparte dai piccoli borghi: intervista a Domenico Nicoletti

Domenico Nicoletti, ex presidente del Parco del Cilento parla del ruolo dei piccoli borghi nell'immediato futuro

Arturo Calabrese

20 Maggio 2020

Sul ruolo dei piccoli borghi nell’immediato futuro interviene anche Domenico Nicoletti. Cilentano, è già docente di Architettura alla Federico II e direttore del Parco del Cilento dal 1996 al 2004, oggi dirige il Parco Nazionale dell’Alta Murgia in Puglia.

Quale sarà lo scenario del dopo-Covid?

La fuga del dopo covid 19 è nei fatti in Europa, esplosa da Parigi a Madrid, da Berlino a Londra e arriverà anche in Italia e se non pianificata e organizzata rischia di fare danni al paesaggio italiano come negli anni delle seconde case con una dissipazione edilizia senza servizi e attrezzature sociali determinando ulteriore marginalizzazione e rancore. Inoltre la cultura del cemento, che ha tempi di vita ridotti, come abbiamo visto con il ponte di Genova e come vedremo in futuro se non si corre ai ripari, è ormai acclarato essere un pessimo investimento. I nostri centri storici oltre alle solidità di antichi mestieri e la cultura dell’utilizzo delle risorse naturali per l’autoregolazione energetica e l’uso dei materiali, hanno le pietre, il legno e le tegole e la malta naturale, che parlano di lavoro, impegno e volontà di prossimità, ma anche senso di comunità e partecipazione. I borghi e i piccoli comuni rappresentano il “potere dolce italiano” che attrae e fa sognare il mondo, con le sue congreghe e le sue comunanze, le sue tradizioni e consuetudini stagionali, il silenzio e la natura resilienti e solidali, i vichi, il profumo del pane fatto in casa, la lentezza.

Quali sono, dunque, le strategie da mettere in atto?

La montagna e le aree interne sono destinate nel breve periodo a diventare nodi strategici dell’assetto non solo territoriale, ma anche culturale, economico e ambientale, dell’Italia intera. Una montagna frequentata, abitata e produttiva, che presidia il territorio, preserva la piena funzionalità dei servizi ecosistemici, riduce i rischi naturali, salvaguarda il patrimonio, contribuisce all’occupazione e al reddito nazionale, diventa un laboratorio di nuovi stili di vita e di integrazione sociale. La banda larga è una necessità ed un investimento possibile per le piccole comunità che oggi riconoscono nella loro tutela il valore aggiunto per la qualità della vita e della tutela della salute. La pandemia ci ha isolati e fatto vivere una dimensione domestica concreta che ha evidenziato la necessità di nuovi modi di vivere e la dimensione da cui ripartire come consapevolezza del limite per ritrovare responsabilmente la propria dimensione, quale parte di una grande famiglia che deve ripensare i modelli di organizzazione e gestione di un cambiamento in atto. Tra la città e la montagna si riducono le differenze culturali, mentre crescono i rapporti di complementarietà grazie ai quali i grandi agglomerati pedemontani beneficiano gratuitamente o quasi di servizi eco-territoriali che riguardano l’approvvigionamento idrico e idroelettrico, la prevenzione dei rischi idrogeologici, la tutela ambientale e paesaggistica e quant’altro dipende dal presidio, dalla cura e dalla manutenzione dei retroterra montani da parte dei residenti e delle imprese locali. Il ritorno al territorio ampiamente vissuti – e prima ancora il diritto di chi ci nasce a restarvi – si deve sostanziare in un grandioso progetto promosso dal governo centrale insieme agli enti territoriali e gli attori locali, comprendente un insieme di azioni che valorizzino le nuove convenienze a vivere e a lavorare nelle aree interne, specie in quelle più bisognose di recupero. Oltre alle infrastrutture e ai servizi essenziali già previsti dalla Strategia nazionale per le aree interne e dall’Agenda digitale, servono centri di accesso facilitato ai servizi telematici, scuole, anche di alta formazione, facilitazioni per le famiglie e le imprese di nuovo insediamento, incentivi, anche normativi, per attivare forme di economia circolare, per la formazione di filiere produttive basate sull’uso durevole del patrimonio, a cominciare dalla lavorazione del legno, dei latticini, delle conserve alimentari e delle altre materie prime di origine locale.

La ripresa può ripartire dai territori…

Dai territori, certo, ma anche dalla difesa di essi. È evidente che nelle grandi città l’incidenza del virus sia maggiore a causa dell’inquinamento e quindi sono necessari piccoli passi. Porre fine all’era del combustibile fossile, rigenerare le città e connetterci con i borghi per una rigenerazione sociale ed economica delle comunità. Se esiste un divario tra Nord e Sud è economico e nei modelli di crescita che devono essere capovolti, se non ridimensionati nell’espandersi delle grandi periferie urbane, acquisendo nuove consapevolezze sulla cultura del profitto e della finanza rispetto ai modelli di comunità delle relazioni e della prossimità.

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