Ma possibile che ancora si debba parlare di ‘tipicità cilentane’?
Qual è quel prodotto, materia prima o lavorato, che.. quando nonno non ci sarà più, quando mia suocera non potrà cucinarlo, quando il mondo non genererà nella stessa maniera, quando la risorsa tempo sarà scarsa e non ci farà sedere puntuali alla tavola delle nostre antiche tradizioni, ci mancherà tanto da farci chiudere gli occhi ed immaginare? Ci sono degli odori e sapori che sviluppano un senso ‘agrodolce’ nell’immaginario umano.
Sono sapori ed odori che piacciono, ma possono anche non piacere, a volte imbarazzano, odori e sapori che vogliamo allontanare perché appartengono ad un passato ingombrante e percepito da noi stessi come troppo personale da portare in giro per il mondo.
Eppure risentirli ci ricongiunge immediatamente alle origini, uniche e codificabili soltanto da chi le ha vissute insieme a noi:
Questi sapori (ne sono stati ricordati solo alcuni) sbloccano ricordi a chi vince la ritrosìa nel celebrare le proprie radici.
Parliamo del Cilento, o più propriamente, del Sud sincero, quello schierato in nome della Dieta mediterranea, dai sensi non ovattati, senza commercializzazione spinta e reti distributive, senza confezioni sotto vuoto, valide queste ultime solo se si decide, con orgoglioso senso di appartenenza, in una ‘tranche’ del proprio percorso di vita lontani da casa, di portarle con sé in giro per il mondo in nome della diffusione di un valore e del piacere della condivisione.