Cronaca

Demolizione a Capaccio Paestum: Consiglio di Stato conferma l’ordine per opere abusive in zona di rispetto

Il Consiglio di Stato, con una sentenza definitiva, ha respinto l’appello del titolare di un Hotel prossimo all’area archeologica di Paestum, confermando l’ordine di demolizione emesso dal Comune di Capaccio Paestum per alcuni manufatti realizzati in una zona sottoposta a vincolo assoluto di inedificabilità.

La vicenda, che si trascina da oltre un decennio, si conclude con un pronunciamento chiaro e inequivocabile a favore della tutela del patrimonio storico e paesaggistico.

La lunga battaglia legale

Tutto inizia nel 2014, quando il Comune di Capaccio Paestum emette un’ordinanza di demolizione nei confronti di specifiche opere realizzate senza permesso nell’area di rispetto archeologico, istituita dalla legge n. 220 del 1957. Tra gli abusi contestati c’erano un fabbricato destinato a struttura ricettiva, una piscina con annesso bar e locale tecnico e un altro manufatto in calcestruzzo e muratura.

Il titolare della struttura si è sempre difeso sostenendo che le opere fossero preesistenti al vincolo, ma il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Campania, sezione staccata di Salerno, ha respinto il ricorso. Secondo il TAR, infatti, non era stata fornita alcuna prova concreta della preesistenza dei manufatti nella loro attuale conformazione.

L’appellante, però, non si è arreso e ha portato il caso al Consiglio di Stato, presentando una serie di documenti e testimonianze. Tra questi, una perizia giurata e alcune dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà che attestavano l’esistenza, in passato, di una stalla e di una concimaia nello stesso luogo.

La parola del Consiglio di Stato: aerofotogrammetrie contro testimonianze

Il Consiglio di Stato ha analizzato attentamente tutte le prove presentate, ma ha ritenuto che i documenti prodotti dal ricorrente fossero insufficienti. In particolare, i giudici hanno ribadito che le dichiarazioni dei testimoni, che si basavano su ricordi risalenti a oltre 70 anni prima, non potevano avere un valore probatorio superiore alle aerofotogrammetrie ufficiali del 2002 e del 2009.

Queste foto aeree, infatti, mostravano che le opere abusive, nelle loro attuali dimensioni e configurazione, erano state realizzate in un’epoca successiva al 1957. Il Consiglio di Stato ha sottolineato che un principio di prova non è sufficiente per temperare l’onere probatorio, che spetta al privato cittadino, e che gli elementi forniti dal proprietario si riferivano a opere di natura e consistenza completamente diverse (una stalla e una vasca per liquami) rispetto a quelle oggetto dell’ordinanza.

Atto dovuto e tutela del territorio

La sentenza del Consiglio di Stato ribadisce anche un principio fondamentale del diritto amministrativo: l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo è un atto dovuto e vincolato. Questo significa che, una volta accertata la mancanza del titolo edilizio, l’amministrazione non ha bisogno di valutare un interesse pubblico ulteriore per giustificare la demolizione. Il semplice ripristino della legalità violata è sufficiente.

I giudici hanno inoltre respinto le argomentazioni relative alla presunta “natura vincolata” del provvedimento e all’affidamento del privato nel mantenimento dell’opera, anche in caso di lunga durata dell’abuso. La legge sulla zona di rispetto, infatti, impone un divieto assoluto di edificabilità e non ammette deroghe o sanatorie.

Per i giudici, quindi, l’ordine di demolizione emesso dal Comune di Capaccio Paestum rimane valido e, di conseguenza, le opere abusive dovranno essere rimosse.

Condividi
Pubblicato da