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Una porta e una cesta per accedere alla Storia

Presi dalla frenesia e dai ritmi veloci di una società ormai confusa e destrutturante, abituati a percepire lo scorrere del tempo che inesorabilmente ci sfugge tra le mani, colmi di distrazioni e frivole consuetudini comuni, non ci accorgiamo più, se non per alcuni momenti della nostra vita, di ciò che siamo ma soprattutto ci dimentichiamo spesso del passato...

A cura di Enrico Lo Cascio
Pubblicato il 22 Febbraio 2020
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Presi dalla frenesia e dai ritmi veloci di una società ormai confusa e destrutturante, abituati a percepire lo scorrere del tempo che inesorabilmente ci sfugge tra le mani, colmi di distrazioni e frivole consuetudini comuni, non ci accorgiamo più, se non per alcuni momenti della nostra vita, di ciò che siamo ma soprattutto ci dimentichiamo spesso del passato, di quello che viene definito vissuto comune.
Eppure, nei piccoli centri storici dei comuni, che tanto hanno da raccontare, basta osservare il legno consumato di una porta, una porta che racconta la sua storia e quindi la storia di un borgo. Aperta e chiusa migliaia di volte: chi abitava in quella casa? Chi mangiava e dormiva li?
Intorno, la pietra, frutto del costrutto di comunità contadine e artigiane che ponevano le basi per lo sviluppo identitario e sociale. E poi? E poi, una cesta di vimini, sapientemente intrecciati dalle mani affaticate e stanche, per produrre uno tra i tanti oggetti di uso comune e così importanti per la quotidianità.

La cesta trasportava il cibo dei contadini, la biancheria che le lavandaie portavano a lavare giù al fiume. La cesta, diventava anche la culla per i neonati, trasportati in lungo e in largo, durante le dure giornate lavorative nelle campagne coltivate.
Quanto sacrificio per costruire una comunità, sudore e sangue di uomini e donne che con umiltà custodivano l’anima di un territorio e ne curavano ogni aspetto. Siamo tutti figli di amore e dolore e straziante è veder sparire giorno per giorno queste pagine di storia dalla nostra mente.
Dove è l’artigiano? Perché il contadino non c’è? Dove sono i bambini, che scalzi per le vie del paese con un pezzo di pane in bocca e i piedi sporchi giocavano a nascondino?

Quante fotografie abbiamo visto, chi più chi meno ha la capacità di creare film dei ricordi e quante foto ancora vedremo.
Bisognerebbe educare tutti all’osservazione, in modo tale da poter suscitare curiosità e ambizione prendendo spunto dal mondo che ci circonda, un po’ come facevano gli studiosi di un tempo. Educare al rispetto e delle cose così come delle persone.
Tutti noi abbiamo in dono ciò che viene comunemente definita sensibilità e solo se ci abituiamo ad accoglierla in tutti i suoi aspetti potremo salvare la nostra identità di territorio.
Solamente percorrendo questa strada fantastica ci accorgeremo che basta osservare una vecchia porta per poter leggere qualche pagina di storia, della nostra storia.

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