Una notte d’estate, un furto in una villetta di campagna, un imprenditore che possiede armi da fuoco. Poi gli spari, la fuga, un ragazzo di 25 anni che viene colpito, cade a terra e muore per poi essere sepolto altrove. Sembra la trama di un racconto western, ma è successo a Foria di Centola.
Il protagonista è un imprenditore che la notte del 22 giugno ha sorpreso tre albanesi introdottisi nella sua villa. Secondo le ricostruzioni, uno dei ladri, Ravlio Rrasa, 25 anni, stava fuggendo quando è stato colpito da un colpo di pistola.
Il pensiero di Selvaggia Lucarelli
Fin qui la cronaca. Ma la storia ha preso una piega quando per l’imprenditore, rimasto a piede libero, è stata avviata una raccolta fondi per pagare la difesa legale.
Su questo punto Selvaggia Lucarelli, in un editoriale sul Fatto Quotidiano, ha commentato con durezza: «Non siamo in un western».
“Fino a qualche anno fa, quando il ministro Salvini era amico dei pistoleri, avrebbe occupato le prime pagine di tutti i giornali. Oggi Salvini è passato da capitano a capotreno e, dopo la festa pirotecnica con Delmastro, forse Giorgia Meloni sull’uso disinvolto delle armi preferisce sorvolare, per cui i fatti che sto per raccontare restano lì, in un angolino polveroso della cronaca”, scrive.
I fatti e le contraddizioni
La vicenda prende il via quando Valiante, sentendo dei rumori nella sua villetta, scende armato di fucile. Tre giovani albanesi, poco più che ventenni, fuggono da una finestra. La versione iniziale di Valiante è che uno dei ladri gli avrebbe sparato con una pistola, e lui avrebbe risposto al fuoco, ferendo uno di loro alla spalla. Gli altri due sarebbero fuggiti. Uno dei giovani feriti, un 20enne, finisce all’ospedale Cardarelli di Napoli. Valiante riferisce ai carabinieri di aver risposto al fuoco, e si indaga sulla dinamica dello scontro a fuoco, con la strana sparizione dei bossoli del fucile di Valiante, si ricorda nell’articolo.
Ma a questo punto Selvaggia Lucarelli mette in evidenza alcune anomalie: il giorno successivo, una donna si presenta dai carabinieri, riferendo che un suo parente le avrebbe comunicato la morte del marito durante la sparatoria. Questa rivelazione getta una luce diversa sull’intera vicenda, suggerendo una verità ben più grave di quella inizialmente raccontata.
La confessione
La notte del 24 giugno, una trentina di amici e parenti dei ladri si presentano sotto casa di Valiante. Non per vendetta, come inizialmente riportato da alcuni media, ma per un “confronto”. Vogliono sapere che fine ha fatto uno dei ladri. È a questo punto che la storia prende una piega macabra.
Valiante, accompagnato dal suo avvocato, si reca dai carabinieri e confessa: non ha sparato un solo colpo. Ne ha esploso un altro, mortale, che ha colpito il venticinquenne Rivaldo Rusi. Nel panico, ha fatto sparire i bossoli e, in un gesto sconcertante, ha caricato il cadavere in auto, lo ha nascosto in una tinozza per il vino e lo ha seppellito nella vegetazione in località San Severino di Centola. Un atto che, come commenta Lucarelli, “non è stato un gesto conservativo”.
Le autopsie successive riveleranno che sia Rusi che il ferito Xuhijan Curti sarebbero stati colpiti alle spalle, un dettaglio che solleva seri dubbi sulla dinamica della legittima difesa e suggerisce che i giovani stessero probabilmente fuggendo. La moglie e la suocera di Rusi, presenti al disseppellimento del corpo, avrebbero espresso il loro dolore con parole strazianti, riportate dal Corriere del Mezzogiorno: “Ha sbagliato, ma non doveva morire così. È stato sepolto come un animale. Ci ha lasciato un bambino senza padre.”
Assassino o eroe
Mentre Valiante viene indagato per omicidio, lesioni gravissime e occultamento di cadavere, e il giovane albanese ferito viene arrestato per tentato furto, rapina impropria e porto abusivo di arma da fuoco, si manifesta un fenomeno inquietante sui social media. Nonostante la gravità dei fatti, Valiante viene innalzato a “valorosa sentinella della proprietà privata”, un “eroe cilentano”.
Il caso di Aurelio Valiante solleva questioni fondamentali sulla percezione della giustizia e sull’uso delle armi in un contesto di legittima difesa. L’assenza di una ferma condanna politica da parte di chi in passato ha cavalcato l’onda della “difesa armata” è un punto dolente da quanto emerge nell’articolo de Il Fatto.
Come conclude Selvaggia Lucarelli, con una nota amara: “Peccato che Salvini sia silente: se anche dovesse venir fuori che non è stata legittima difesa, lui lo considererà quantomeno patriottismo.”