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Cyberbullismo ad Ascea: caso in Procura

I genitori di una ragazzina si sono rivolti all'autorità giudiziaria per un caso di cyberbullismo messo in atto con una falsa chat WhatsApp

A cura di Carmela Santi
Pubblicato il 24 Giugno 2021
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ASCEA. La storia di cyberbullismo, ha inizio nel mese di Febbraio. “Mia figlia, – racconta Veronica , nome di fantasia – sempre più spesso si rifiutava di presentarsi alle lezioni soprattutto nelle ore di una docente. Ricordo che più volte mi chiedeva addirittura di cambiare scuola. Solo dopo insistenza, mi rivelò la docente la discriminava in molte occasioni”.

Cyberbullismo: la storia

Fu così che la mamma decise di contattare l’insegnante e chiederle da cosa potesse nascere questo difficile rapporto con la figlia.

L’insegnante si limitò a dire che si sentiva profondamente offesa e umiliata da volgarità ed epiteti profferiti nei suoi confronti e ricevuti a mezzo messaggi inviati sul suo cellulare e che tali messaggi riguardavano l’intera classe di mia figlia.

Cyberbullismo: i sospetti dei genitori

Basita, la mamma le chiese chi avesse inviato sul suo cellulare tali messaggi. L’insegnante, però, si rifiutò di comunicarlo, sostenendo che i tempi non erano maturi per render nota tale vicenda.

Veronica decide così, di parlarne con il dirigente scolastico il quale le mostrò dal suo cellulare effettivamente una chat WhatsApp ricevuta dall’insegnate nella quale si leggeva un turpiloquio in danno della docente profferito dalla figlia e altri due suoi compagni.

“Mi apparve – dice Veronica – immediatamente una conversazione anomala, poiché le espressioni particolarmente volgari utilizzate da mia figlia e da un suo compagno in particolare, non appartenevano assolutamente al linguaggio corrente dei due ragazzi, oltre ad una serie di elementi che facevano apparire chiara la circostanza che la chat presentasse delle anomalie”.

Da un’analisi attenta e certosina della chat è stato accertato che trattavasi di chat completamente falsa, artatamente creata attraverso un’applicazione denominata WhatsMock, reperibile in rete. Questa è atta proprio a creare false conversazioni WhatsApp tali da trarre in assoluto inganno il lettore non attento. E’ risultato possibile che si trattasse di un caso di cyberbullismo.

“Mia figlia dunque – ribadisce la donna – unitamente, agli altri due suoi compagni era vittima di taluno che scriveva a loro nome volgarità ed offese riferite alla docente inviando poi il tutto alla stessa, al fine di mettere in cattiva luce, probabilmente, mia figlia stessa ed i suoi compagni”.

La denuncia

I genitori si sono rivolti all’Autorità Giudiziaria affinché si possa risalire all’autore o autori di quello che assume i contorni di un caso di cyberbullismo che di fatto si concretizza in un reato.

L’obiettivo è tutelare la dignità, il decoro e l’onore della figlia. La giovane è stata vittima ignara di quanto ad ella falsamente attribuito al solo scopo di metterla in cattiva luce verso l’insegnante.

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