Il Cilento dei Cilentani

Ostigliano, da Santa Sofia a San Rocco: una "velata" protezione

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Carestie e contagi nella ruralità del passato

Tra le pagine più tristi del Meridione d’Italia, vi è senza dubbio l’epidemia di peste che flagellò il Regno di Napoli nella seconda metà del 1600. La capitale, già scossa da disastrose calamità si ritrovò a fare i conti con una nuova sciagura. Il morbo, dapprima approdato nella città partenopea, ben presto raggiunse quasi ogni angolo del regno, incuneandosi anche nel Cilento. Molti paesi ne subirono le catastrofiche conseguenze, special modo in termini di vite umane: comunità dimezzate, altre rimasero completamente spopolate e fra essi, diversi centri cessarono definitivamente la loro esistenza. Gli scampati al contagio si spostarono verso altri centri, incrementando la debole demografia locale e ponendo uno spiraglio per la rinascita dei casali che avevano subito ingenti danni.

Come si comporta Ostigliano in tali circostanze? Difficile dire se fece più danni la peste o la carestia che l’aveva anticipata; fuor di dubbio è che la comunità rinnovò il suo affidamento ai Santi nell’uno e nell’altro caso.

Per sfuggire alle carestie conviene pensare che ci si affidava al Santo Patrono: in Giugno e in Agosto. In tali occasioni le celebrazioni liturgiche erano affiancate alla tradizionale processione, espressione di una densa devozione. Significativa è stata “la processione delle lanterne” che si svolgeva il 23 del mese di Giugno, vigilia della festività di San Giovanni Battista. In tale occasione 24 lanterne accese aprivano il corteo: simbolicamente rappresentavano le ore del giorno e la ricorrenza stessa, mascherando un più profondo significato legato all’affidamento dei campi. In “re le murtedde” e “re le fico” si distinguevano le due occasioni rispettivamente il 24 Giugno e il 29 Agosto giorni della nascita e della morte terrena del Battista. In entrambi i casi emerge la realtà agricola del luogo, essendo, specialmente i fichi, pilastri portanti dell’economia locale.

Velata in un alone quasi misterioso è, invece, la devozione per Santa Sofia. A quest’ultima, insieme alla Madonna di Loreto e San Donato, oltre ad altre figure di caratterizzazione territoriale, ci si affidava per la protezione contro la peste. Nel 1648 l’abitato è tassato per soli 6 fuochi (famiglie), il triplo circa mezzo secolo prima e 24 nel 1561. Da questi dati si evince che il paese tra i secoli XIV e XVII subisce variazioni sostanziali ma scarsamente rilevanti se si considera l’ampiezza demografica del casale.  Nel 1656 anno in cui sopraggiunge il flagello della peste, Ostigliano conta 66 famiglie: è probabile che l’incremento pari a 10 volte il dato del 48’, sia dovuto alla stabilizzazione in loco di nuove dinastie, presumibilmente provenienti dagli altri casali appartenenti allo stesso circondario, ove si registrarono situazioni più drammatiche; verosimilmente trovarono in Ostigliano un luogo più salubre dove potersi insediare per sfuggire al contagio o sopperire alle carestie. È in questo frangente che, oltre alla demografia ed all’economia, subisce una variazione anche la devozione legata al culto dei Santi. L’esistenza della chiesa madre, è documentata fin dalla seconda metà del XVI secolo, e di li a poco, entrano nel panorama architettonico del paese anche alcune cappelle, tra cui quella dedicata a Santa Sofia (oggi San Rocco), attualmente ricompresa nell’abitato, quella della Madonna “del rito” e quella di San Vito. Di norma, le cappelle dedicate ai Santi protettori della peste erano situate all’esterno dell’abitato, poiché qui venivano seppellite le vittime del contagio e, spesso, qui si auto-confinavano coloro che avevano contratto il morbo. A volte, tali strutture erano site nei pressi dell’ingresso del paese, determinando simbolicamente un baluardo di protezione nei confronti di chi abitava in paese. Prima del 1700 ad Ostigliano non è documentato il culto di San Rocco, ma sussiste quello verso Santa Sofia. Ed è probabile che sia proprio il contagio del 1656 ad aver invertito la rotta, accentrando ora l’attenzione sul Santo da Montpellier. Come accaduto in decine di casi in tutto il Mezzogiorno, e tantissimi esempi si riscontrano nel solo Cilento, sul finire del 600’ vennero elevati nuovi altari dedicati a San Rocco. La toponomastica cittadina conferma l’anteriorità del culto di Santa Sofia rispetto a San Rocco: basti pensare che l’unica piazzetta del paese porta il nome della Santa e, fino a pochi lustri fa, lo stesso si estendeva anche alla via sovrastante che conduce alla cappella. Inoltre, il “sacellum” originariamente custodiva anche alcune tele ed una immagine dell’Immacolata in cartapesta, oggi situata in Chiesa Madre. Ad ogni modo, l’affidamento a San Rocco, entra nel panorama socio-devozionale del paese e si innesta a pari degli altri culti. In Agosto, si celebra la festività, come si conviene secondo i canoni, mentre in Febbraio si ricorda in modo votivo San Rocco “di penitenza”, ricorrenza dettata da legami indubbiamente conseguenti alla fine del flagello imposto dalla peste. Di ciò troviamo conferma anche in altri paesi dei dintorni, ove l’ultima Domenica di Febbraio, almeno in passato, si ricordava tale evento.

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