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Elezioni: in Europa vince il voto di protesta (Italia esclusa)

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Vittoria degli euroscettici, successo della sinistra greca, trionfo del Pd in Italia, ennesimo flop dei sondaggi. Le elezioni europee più sorprendenti della storia non stravolgono tanto il nuovo parlamento quanto le certezze dei singoli paesi.

In Francia tutti gli occhi sono su Marie Le Pen, la donna che è riuscita a fare del Front National il primo partito della nazione. Per l’estrema destra francese è un secondo miracolo, dopo quello realizzato dal padre di Marine, Jean Marie, nelle presidenziali del 2002, quando riuscì ad andare al ballottaggio con Chirac surclassando il partito socialista e preoccupando (quasi) tutta l’Europa.

Quello realizzato dalla destra britannica è invece un miracolo che non ha precedenti: Il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (UKIP), guidato da Nigel Farage, arriva primo con il 30% dei voti, lasciando largamente indietro Conservatori e Laburisti, sempre più ridimensionati nella certezza di controllare un paese bipartitico. Il voto di protesta inglese cresce costantemente e raccoglie lo scontento verso un welfare state ritenuto sempre più preda di parassitismi e storture.

Voto di protesta è anche quello che i greci hanno dato ad Alexis Tsipras, la cui formazione è arrivata al primo posto col 26% dei consensi, sopra popolari e socialisti.

In Italia la vera notizia è la sconfitta della protesta. I 5 stelle portano a casa un risultato che, seppur mirabile a livello storico, tuttavia impallidisce di fronte a sondaggi e aspettative. Nessuno ci aveva capito molto sui veri umori di queste elezioni, se è vero che alla vigilia del voto ancora si nutrivano dubbi su chi sarebbe arrivato primo, e il giorno dopo il primo partito doppiava il secondo. Per un Movimento teso a distruggere e deridere il sistema esistente, essere sconfitto in modo così inatteso, e di conseguenza sbeffeggiato dalla stessa Rete sinora tanto vicina, appare doppiamente duro. E porta con sé il pericolo di rilegittimare certi malcostumi politici presi di mira, oltre che la necessità di un mea culpa profondissimo.

Gli Italiani votanti hanno affidato dunque a Renzi il voto europeo e amministrativo, rendendo più dolce la pillola di una premiership ottenuta a Palazzo. E, a dire il vero, anche quella di questi primi 100 giorni di governo, duranti i quali il premier non ha realizzato ciò che aveva promesso di realizzare nei primi 100 giorni di governo. Prima di Renzi tutti gli analisti evidenziavano l’assenza di un leader di sinistra paragonabile al Cavaliere. Con Renzi è senz’altro arrivato, a tal punto che le uniche frange di opinione pubblica veramente avverse al premier sono a sinistra, mentre la destra rimpiange un Renzi erede di Berlusconi.

Il renzismo è appena iniziato è vale solo augurarsi che faccia meglio del berlusconismo, e dunque che non duri così tanti inconcludenti anni. Certo a Renzi manca l’impero economico-mediatico, ma non il carisma, la grandiosità e, per adesso, gli elettori, i quali verosimilmente continueranno a crescere, come sempre in questo paese che tanto ama i vincenti.

Negli ultimi anni gli italiani sono stati trascinati avanti come bambini di cui bisogna evitare il pianto. A suon di promesse. 10 saggi, 10 punti, 100 giorni, fase 2, ‘voltare pagina’, ‘adesso le riforme’.
Dopo la rottamazione, i grandi discorsi, le convention all’americana e ora il trionfo elettorale, emerge tremante l’attesa di segnali tangibili. E la speranza che dietro l’ambizione non rimanga lo sconforto di un ennesimo bluff.

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