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Cinema: il fascino di Malefica e la rivincita dei cattivi

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Come ampiamente predetto, il film Maleficent sta sbancando i botteghini di tutto il mondo, Italia compresa. Dopo una lunga gestazione (inizialmente la regia era stata affidata a Tim Burton), il lavoro più ambizioso della Disney moderna regala un po’ di ossigeno a un anno difficile per il grande schermo, con pochi titoli degni di nota e qualche deludente biopic. Maleficent aveva messo gli appassionati del genere in fremente attesa fin dal suo annuncio, nel 2010: l’impero del fantasy decideva di rendere protagonista, per la prima volta, un cattivo. E ovviamente lo faceva col migliore dei suoi personaggi, l’austera strega che scaglia il maleficio dell’arcolaio contro la principessa Aurora de la Bella Addormentata. Di tutti i Disney Villains, il più severo, crudele e affascinante. Ebbene, ciò che ne è uscito fuori è un film con diversi pregi e qualche difetto. La scelta di raccontare la storia dal punto di vista dell’antagonista non è ridotta a una rilettura in chiave dark, né alla scoperta di un’inedita infanzia. Il personaggio di Maleficent (nella versione italiana il nome è stato tradotto nel doppiaggio ma non nel titolo), viene stravolto, ripensato, impregnato di motivazioni del tutto assenti nel cartone originale. Tradita nel suo sogno d’amore dalla spietata ambizione umana, la strega veste gli eleganti panni della malvagità per meditare la sua vendetta, ma poi diventa essa stessa la nemesi del male. La lineare divisione fiabesca di buoni e cattivi, come già nel fortunatissimo Frozen, viene capovolta, spezzata. Re Stefano, poco più che figurante nell’opera del ’59, diventa la complessa chiave di volta della trama, mentre le fatine (per inciso, l’elemento meno riuscito del film), mostrano uno spessore umano pari allo zero. E come se non bastasse, il bacio che salverà la principessa non sarà quello del Principe Azzurro, archetipo che ormai la Disney si diverte sempre più a strattonare e deridere, in favore di megafusti rozzi ma buoni. Un contrappasso ironico di fronte al crescente narcisismo dell’uomo moderno e alla supposta crisi del maschio alfa. Da un certo lato, si potrebbe lamentare l’assenza di coraggio di una Disney che per porre il male al centro dell’intreccio ha dovuto trasformarlo in bene.  Ma forse il coraggio sta proprio in questo scardinare le certezze dei dualismi, raccontando l’oscurità nascosta dietro le belle facce, e la luce dietro la notte. I regni dorati tengono fuori dalle loro mura ciò che credono sia malvagio, e questo, così etichettato, finirà per adeguarsi all’infamia. La morale degli incompresi può forse insegnare altrettante cose di quella che fa vincere ad ogni epilogo la spada scintillante dell’ultimo guerriero.

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