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Agropoli: il dott.Zora 'Il siero Bonifacio aveva effetti nella cura anti-cancro'


Sono passati circa trent'anni da quando Liborio Bonifacio, veterinario e scienziato agropolese ideò un siero anti-cancro, derivato da feci e urine di capre. Nonostante i risultati non mancassero, inspiegabilmente il Ministero della Salute cercò di bloccarne la sperimentazione. I motivi restano ancora un mistero, forse oggi le cure contro i tumori effettivamente esistono, ma qualcuno non ha interesse affinchè vengano diffuse.

Una ulteriore conferma degli effetti positivi del siero Bonifacio arriva da un'intervista al professore Zora, pubblicata alcuni giorni fa su "Il Giornale". Il professor Giuseppe Zora, all’epoca docente all’Istituto di clinica oncologica dell’Università di Messina, e la dottoressa Anna Tarantino, biologa nel medesimo istituto, formavano una delle coppie più promettenti nel campo della ricerca sui tumori, e non certo perché erano (sono) marito e moglie. È che trent’anni fa, inoculando nei topi malati di cancro il Corynebacterium parvum, un batterio appartenente alla famiglia dell’agente patogeno che provoca la difterite, avevano constatato sorprendenti regressioni del male. Ai due ricercatori, nel 1979 il professor Saverio D’Aquino, direttore dell’istituto, chiese di sperimentare in laboratorio un siero ottenuto dalle feci e dalle urine delle capre, che gli era stato portato da un veterinario di Agropoli, appunto il dottor Liborio Bonifacio. Il veterinario cilentano, sorpreso di non aver trovato mai tracce tumorali nelle capre, aveva scoperto che l'immunità di queste era attribuibile a certi batteri che popolavano l'intestino degli animali e che, opportunamente trattati, costituivano un siero anticancro. «Scoprimmo che qualche effetto antitumorale sulle cavie malate lo aveva», racconta oggi il professor Zora.

Inoltre fu verificato come l'idea di curare il cancro con un contenuto gastrointestinale caprino, era già nota in Persia, da qui era passata agli arabi e poi in Europa. Nell'anno mille raggiunse anche l'Italia.

I risultati dell’ampia sperimentazione clinica effettuato con il Siero di Bonifacio, davano su 2753 casi clinici documentati, una percentuale di guarigione del 51% nei casi di cancro all’esofago e del 98 % nei casi di cancro alla tiroide. «L’anno dopo furono illustrai i risultati di quella ricerca in un convegno a Saturnia. Fu la fine. Tutto ciò che mia moglie e io avevamo fatto sino a quel momento non valeva più niente».

Insomma nelle parole del professor Zara, viene fuori la volontà da parte di molti di occultare queste ricerche, di chiudere un capitolo forse scottante. Il professore messinese e sua moglie riuscirono sulla base di alcune ricerche, e in base alle sperimentazioni del siero Bonifacio a "creare" l’Imb (immunomodulante biologico), si tratta di un prodotto che ha per principio attivo l’Lps, lipopolisaccaride estratto da batteri Gram-negativi, ampiamente studiato presso l’Università di Tours, in grado di supportare il paziente oncologico durante le chemio e le radioterapie. Fu ostracismo totale. Di più: persecuzione.

È passato un quarto di secolo, ma il ricordo è ancora lancinante. La coppia fu costretta a rifugiarsi in territorio vaticano, precisamente nella basilica di Santa Maria in Trastevere, che gode dell’extraterritorialità. «Io non so se questo farmaco cura il cancro, so soltanto che dinanzi a Dio e a me stesso, come uomo e sacerdote, è mio dovere accogliere questi poveretti e aiutarli», disse il parroco, don Vincenzo Paglia, l’assistente ecclesiastico della Comunità di Sant’Egidio poi divenuto vescovo di Terni. I poveretti non erano soltanto i coniugi Zora ma anche i 50.000 malati che nei dieci anni successivi furono visitati e curati gratuitamente, condicio sine qua non per operare entro i confini della Santa Sede. Chi voleva, lasciava un obolo per le spese.

I coniugi Zara, hanno subito lo stesso trattamento di Bonifacio. Il giornale "La Sicilia" scrive nel 1980 a proposito della cura del veterinario agropolese: "prima di vincere il cancro, bisogna vincere la "resistenza" e i preconcetti della scienza ufficiale non sempre disinteressata. Occorre abbandonare i pregiudizi ed entrare nell’ordine di idee che qualunque suggerimento, anche se umile, va accolto ed esaminato attentamente...................nella cura dei tumori ci sono cifre da capogiro. Apparecchi che costano miliardi e miliardi che resterebbero inutilizzati".

Il 19 Marzo 1983 sulle pagine di tutti i giornali nazionali, si ricorda il decesso di re Umberto di Savoia, morto per un tumore alle ossa, in una lussuosa clinica svizzera. A lui sono riservati titoli a caratteri cubitali nelle prime pagine dei quotidiani. Nessuno o pochi ricordano, che lo stesso giorno, moriva nella sua umile casa di Agropoli, il dott. Liborio Bonifacio colpito da un arresto cardiaco. Ai funerali di Liborio Bonifacio c’è un’immensa folla, chi non è potuto venire ha mandato saluto, un fiore, una poesia, uno scritto.

Circa 20 giorni dopo il suo decesso, il figlio Leonardo inizia uno sciopero della fame prima davanti a Montecitorio e poi a casa sua. L’obiettivo è quello, dopo 32 anni di attesa, di dare una risposta al mondo scientifico e all’opinione pubblica sulla reale efficacia del siero Bonifacio. Qualcuno malignamente fece notare che Leonardo quando iniziò il digiuno pesava 105 Kg. In ogni caso ogni suo sforzo fu vano.

Bonifacio veniva descritto come un uomo modesto, la sua casa, i suoi abiti, il suo modo di presentarsi, tutto rivela modestia. E’ un eroe, uno che per 20 anni si è dedicato a una battaglia che non gli rese una lira, uno che nell’austera disciplina dei laboratori lottava contro la sofferenza e la morte. La sua casa riceveva tutti i giorni la visita del postino, fasci di telegrammi ed espressi, chiedevano tutti la stessa cosa: il medicinale e una sua visita. Il telefono squillava continuamente, la gente è fuori, in fila che aspettava di essere ricevuta. Arrivavano malati e parenti anche dall’estero. "giovedì scorso – riferiva Bonifacio in un'intervista - è arrivato un inglese con il figlio in coma, dopo alcune iniezioni il ragazzo si è ripreso. Quanti pazienti sono stati curati con il suo metodo? :"duemila", risponde. Quanti di questi sono guariti? "alcune centinaia" prosegue, io però sono assillato dal lavoro quotidiano, non ho il tempo né la possibilità di seguire questi malati uno per uno. Qualcuno guarisce, altri spariscono.

Bonifacio, la sua storia e la sua terapia sono raccontate in un libro pubblicato dall’editore Savelli dal titolo "La mia cura contro il cancro": Nel libro Bonifacio spiega dettagliatamente come si prepara il farmaco. Sostanzialmente si fanno maturare e poi filtrare rendendo la miscela batteriologicamente pura, le ghiandole prelevate dal sigma del bestiame caprino. Il preparato tuttavia non va bene per tutti. E’ prodotto in due specie: maschile e femminile ed è dato in base all’esame istologico: il maschile per i carcinomi e il femminile per i sarcomi.

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