A quindici anni di distanza dall’omicidio di Angelo Vassallo, l’ex sindaco di Pollica-Acciaroli, la giustizia non ha ancora un nome per l’esecutore materiale. Nonostante quattro imputati siano ora a giudizio con l’accusa di concorso in omicidio e uno per traffico di droga, il sicario che ha premuto il grilletto rimane un fantasma, protetto da un “credito fatto di depistaggi, silenzi e coperture”.
Questa assenza di un nome per il killer è il punto centrale delle indagini e dell’accusa. Le carte della Procura di Salerno indicano chi avrebbe organizzato gli appostamenti e chi avrebbe depistato, ma non chi ha materialmente sparato nove colpi contro il sindaco.
Per colmare questa lacuna, gli inquirenti hanno aperto un nuovo fascicolo di indagine, ancora segreto, che si concentra proprio sull’identificazione dell’esecutore materiale. Le indagini si basano in parte sulle dichiarazioni di due pentiti, la cui attendibilità è stata confermata dai giudici del Riesame.
Uno di questi, Eugenio d’Atri (un boss di Somma Vesuviana) ha chiamato in causa Lazzaro Cioffi, un brigadiere, come presunto killer. Tuttavia, questa versione non ha trovato riscontri solidi. Il brigadiere Cioffi ha infatti un alibi inattaccabile, trovandosi ad Avellino con la famiglia il 5 settembre di 15 anni fa. Un alibi che ha reso al momento impossibile formulare un capo d’imputazione nei suoi confronti.
La storia del brigadiere Cioffi evidenzia una delle principali sfide dell’inchiesta: la convinzione che chi ha ucciso Vassallo potesse contare su alibi, depistaggi e coperture istituzionali. Questo “scudo” avrebbe protetto il sicario, garantendogli finora l’immunità.
L’assassino, che ha sparato a un uomo inerme, era probabilmente noto alla vittima, un elemento che aggiunge un’ulteriore, inquietante, sfumatura al caso. L’indagine continua, ma la sensazione che il nome del killer sia stato occultato da una rete di complicità e silenzi resta forte e attuale.