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Centro per l’impiego di Sala Consilina, battaglia giudiziaria con Teggiano per i canoni di locazione

A cura di Erminio Cioffi Pubblicato il 2 Giugno 2018
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Sala Consilina – L’amministrazione del comune capofila del Vallo di Diano porta in tribunale il Comune di Teggiano per poter ottenere il pagamento delle quote arretrate dei canoni di locazione per gli uffici del Centro per l’impiego che si trova in via Matteotti. Michele Di Candia, sindaco della Città Museo del Vallo di Diano si è visto recapitare un atto di citazione del Comune di Sala Consilina con il quale il sindaco Francesco Cavallone cita il suo collega Michele Di Candia, in qualità di rappresentante legale del Comune a comparire dinanzi al Tribunale di Lagonegro all’udienza che si terrà il prossimo 11 giugno, per il mancato pagamento dell’importo di € 16.186 oltre agli interessi di mora ed alle spese legali. Il Comune di Teggiano ritiene che la cifra richiesta si superiore a quella che reale e per questo motivo con una delibera di Giunta ha dato mandato all’avvocato Cinzia Morello per presentare opposizione al decreto ingiuntivo. I rapporti tra i due Comuni continuano a non essere affatto sereni, visto che delle scaramucce c’erano già state circa due settimane fa in occasione delle elezioni dei componenti del Consorzio Sociale che dovrà occuparsi della gestione del Piano di Zona S10. In quella circostanza Teggiano non ha avuto alcun rappresentante eletto nel consiglio di amministrazione del Consorzio. “Teggiano – aveva dichiarato il primo cittadino Di Candia – che è uno dei comuni più importanti del comprensorio ha tutto il diritto di far parte di questo Consiglio. E’ anomalo che Sala ne faccia parte e Teggiano no”. Lo scontro tra i due comuni approda in un’aula di tribunale per una vicenda sulla quale Di Candia intende fare chiarezza. “La vicenda ha inizio diversi anni fa – spiega il sindaco di Teggiano – quando una legge regionale aveva disposto che ci fosse un unico centro per l’impiego e Sala Consilina, con prepotenza, invece di chiedere se gli altri comuni avevano disponibilità dei locali, decise autonomamente di prendere in locazione dei locali con un canone che allora era di circa 50 milioni delle vecchie lire all’anno. Non esiste un protocollo di intesa con gli altri comuni, i calcoli sugli abitanti dei comuni per determinare le quote risalgono a quando è stato sottoscritto il contratto. Io ritengo che la cifra richiesta sia da rivedere al ribasso e per questo ho deciso di resistere in giudizio”

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