Ospedale di Vallo della Lucania: la solitudine del reparto di urologia

Massimo Sica

VALLO DELLA LUCANIA. La solitudine degli operatori del Reparto di Urologia dell’Ospedale San Luca, rappresenta l’emblema della solitudine in cui versa il Sistema Sanitario Nazionale.
Solitudine intesa come condizione di isolamento e di mancato ascolto ed aiuto.
Costretti a “dare da soli forma al tutto”.
Siamo tutti d’accordo che, nel nostro Tempo, gli eroi veri non hanno le ali, ma un chirurgo, un infermiere, un operatore sanitario, deve essere messo in condizione di svolgere la propria professione con serenità e perizia.
Una serenità utopica, una chimera irraggiungibile da troppi anni, attesa la penuria di personale ed attrezzature.

Allo stato attuale, senza esaltazioni di circostanza, il dott. Benincasa, il dott. Lamberti e il dott. Pinto, unitamente agli infermieri ed al resto del personale, in molti momenti della giornata, dovrebbero avere il dono della bilocazione per far fronte alle continue richieste di intervento.
Un contesto emergenziale generato dai frutti avvelenati del decantato e famigerato “numero chiuso”, dalla scarsa vocazione per la chirurgia, dalla gestione delle cattedre Universitarie, dai mancati bandi di concorsi e dagli scellerati piani di razionalizzazione della spesa, concepiti e approvati nell’agio e nei profumi dello “Stato Maggiore”, subìti dall’utenza e dagli operatori sanitari a contatto quotidiano con la sofferenza e il tanfo della paura.

In questo quadro, si inserisce la missiva stilata dal Primario del Reparto di Urologia, il dott. Giuseppe Benincasa, ed indirizzata al Direttore Generale dell’ASL “Salerno” ed al Direttore Sanitario del nosocomio vallese.
Una nota, con la quale, il noto chirurgo, esplicita, in maniera puntuale, criticità note, ma in sicuro peggioramento in divenire.
Una miscellanea tra atto dovuto, grido di dolore e accorata richiesta di aiuto.
In estrema sintesi: tra pensionamenti, licenziamenti e riposi obbligatori, statuiti per legge, il numero dei medici in servizio scende al di sotto della soglia minima rappresentata da tre unità.

Un numero talmente esiguo da risultare insufficiente per garantire i turni e, cosa ancora più grave, gli interventi chirurgici in emergenza, con tutto il carico di difficoltà e tensioni che ne deriva.
A distanza di un mese dall’invio della nota in discorso, a tutt’oggi, il dott. Giuseppe Benincasa non ha ricevuto alcuna risposta.
Probabilmente, non si tratta di disattenzione da parte dei destinatari della stessa, ma più che altro di impotenza oggettiva a far fronte all’emergenza comune anche ad altri Reparti.
L’auspicio, per i pazienti e per il personale medico, può essere uno solo: mettere da parte l’atavico esercizio italico di cercare colpevoli, un capro espiatorio, inscenando la consueta e stucchevole ridda di accuse reciproche, e concentrarsi, sui possibili interventi da apprestare per scongiurare criticità estremamente pericolose, non degne della Sanità Pubblica di un Paese che suole definirsi civile.

Al dott. Benincasa ed a tutti noi, non urgono polemiche e processi, urgono risposte serie, risolutive e durature.
Atteso che lo scenario che si delineerà, da oggi a sei mesi, è chiaro a tutti.
Dallo stato emergenziale si precipiterà nell’impossibilità funzionale del servizio.
Lontano da profezie catastrofiche, con dati certi, alla mano, senza timore di smentita, la pressione dell’emergenza continua, legata alla carenza di personale, da qui a qualche anno, porterà all’implosione dell’intero Sistema.

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