Tesi di laurea sul Cilento da 110 e lode

Nello Amato

“Il popolo non conosce il dialetto, il popolo è il dialetto. Non ci sono dialetti di serie A e dialetti di serie B, perché non ci sono popoli di serie di A e popoli di serie B. Il dialetto è il simbolo di appartenenza, il legame da conservare, da sciogliere nei nuovi incroci”. Con questa sequenza di frasi paratattiche dal buon gusto didascalico, Enzo Avitabile (ben noto cantautore partenopeo, più volte ospite nel Cilento, ogni anno, in giro per le sagre), offre, a mio giudizio, un’inequivocabile lezione di dialettologia, ma soprattutto di sociolinguistica, materia d’indagine per la ricerca di Gloria Stifano, neolaureata in Scienze linguistiche e della comunicazione interculturale presso l’Università per stranieri di Siena.

Originaria di Pellare, frazione di Moio della Civitella, ove è ubicato uno dei siti archeologici più antichi del comprensorio, Gloria Stifano, (che porta lo stesso cognome dell’indimenticabile Giuseppe Stifano, a cui è intitolato il fascinoso Museo della civiltà contadina), ragazza semplice e solare, radicata nel contesto nativo, ha scelto di portare a compimento il proprio cursus studiorum (dopo il diploma presso il liceo classico di Vallo della Lucania e la laurea triennale in Lingue e letterature straniere conseguita presso il medesimo ateneo) attraverso una tesi incentrata sul Cilento, dal titolo “Rapporto tra italiano, dialetto e lingue immigrate nel comune di Moio della Civitella”. La giovane dottoressa ha svolto un’interessante screening, nei mesi scorsi, a livello sociolinguistico, dell’uso delle varie parlate (italiano standard e dialetto cilentano, o sarebbe più opportuno dire “varietà italo-romanza” del Cilento) tra giovani e meno giovani del territorio, per stabilire i parametri di sopravvivenza ed evoluzione della parlata autoctona sotto diversi profili, diafasico e diastratico in primis, tenendo presente la concezione ben salda nell’animo di ogni linguista, ma spesso poco chiara alla coscienza del volgo: ogni dialetto ha sistemi fonologici e sintattici complessi, esattamente come quelli di qualsiasi altra lingua, inclusa la varietà standard, assurta a linguaggio di apprendimento scolastico, grammaticale. Sovente, anche nella stesura di un testo dialettale, si commette l’errore di tradurre dall’italiano oppure si scrive usando le regole morfosintattiche dell’italiano standard. Nulla di più sciocco e azzardato! In questo modo si eleva un altro pregiudizio linguistico, ridotto in frantumi anche nella citazione di Avitabile, ovvero l’italiano sarebbe una lingua più “evoluta” del dialetto. Non esistono lingue di serie A e lingue di serie B!

Partendo dal presupposto che “i dialetti campani sono le parlate meno studiate in Italia”, la Stifano si è cimentata in un terreno pressoché vergine, stabilendo sul piano pragmatico una statistica sulla sfera usage based delle forme dialettali nella popolazione, una tematica attuale e di cui non si osa parlare in termini scientifici. La nostra epoca sta vivendo un gravissimo impoverimento culturale, che si traduce anche nell’appiattimento linguistico, di quella che, nel secolo scorso, indossava le vesti di una “guerra” al dialetto, la lingua degli incolti, rozza e priva di letteratura. Se la letteratura è vita e molto spesso, come già in Petrarca, colui che rende atto ciò che nel De vulgari eloquentia è teoria, la vita imita la letteratura, le forme dialettali conservano una storia invisibile, ordita dai tessuti della storia e dell’antropologia, di canti che esprimono sentimenti a cui e in cui la comunità, un popolo, si rispecchia e fa rispecchiare le generazioni seguenti.

A noi l’arduo compito di salvaguardare e studiare la lingua viva delle nostre nonne, dei nostri avi che ci hanno concesso con grande sacrificio di raggiungere alte vette, come quella che Gloria, con passione e impegno, ha saputo scalare e vincere. Credo sia questo, in sostanza, al di là dei risultati di uno studio che mi auguro possa essere pubblicato presto, il sentimento che pervade l’elaborato da 110 e lode di Gloria Stifano, una giovane cilentana che, come tanti, amaramente ha lasciato la propria terra, recitando come la Lucia manzoniana un “Addio, monti” o come il compaesano immortale, Aniello De Vita, “So’ nato a lu Ciliento e me ne vanto”, conservandone però la radice e sapendola trasporre negli studi.

In ultima istanza, un invito agli amministratori locali: non siate ciechi dinanzi a questi risultati, investite e promuovete cultura, dalla cultura può nascere lavoro, oltre che luce che rischiara le tenebre dell’ignoranza, della caverna cupa ove purulenti covano i mali del nepotismo, dell’apatia giovanile, della politica stupida e corrotta, della mediocrità, del pettegolezzo, e, peggio ancora, dell’indifferenza verso il patrimonio del territorio più bello del mondo: il Cilento.
Auguri, dunque, a Gloria e… per aspera ad astra.

Condividi questo articolo
Exit mobile version