Il mito degli anni Ottanta rivive in un musical del Liceo Parmenide

Carmen Lucia

Lo scorso 10 marzo al teatro “La Provvidenza” è andato in scena lo spettacolo realizzato dagli allievi del “Parmenide”.


Un evento unico, uno “spettacolo-sinestesia”, un intenso intreccio di danza, musica, recitazione, composto in una polifonia multiforme a cui solo in rarissimi eventi è possibile assistere. “I migliori anni…” – il musical andato in scena la sera del 10 marzo a La Provvidenza di Vallo della Lucania – ha visto protagonisti gli allievi di tutti gli indirizzi del Liceo Parmenide, che si sono esibiti in un teatro traboccante di spettatori provenienti dal Cilento, Salerno e Napoli. La Professoressa Noemi Lenza, direttrice artistica dello spettacolo, accompagnando i ragazzi in un’esperienza densa di passioni, di emozioni, quali solo il teatro può e sa dare, ha lavorato sui valori di una “paideia” insieme antica e moderna, perché è riuscita a recuperare il senso greco dell’“armonia” (armonia di coreografie, di voci, musica e recitazione), coniugandola con l’ “espressività” e la modernità delle arti contemporanee (il repertorio internazionale degli anni Ottanta).
Sulla scena i banchi di scuola, una classe e un Professore di Latino pedante, prolisso, severo, interpretato dall’allievo Nicola Sagaria, che riproduce, con grande padronanza scenica, ogni sfumatura di gesti, posture e intonazioni del docente vecchio stile. Al centro, la protagonista che racconta, in una sorta di subplot, la sua vita e, con un recupero analettico, fa rivivere allo spettatore tutti i momenti più significativi della sua adolescenza, evocando i ricordi del primo amore, le prime passioni, i litigi, le feste, le interrogazioni e infine il diploma, che prendono corpo sulla scena.
Domina nel racconto la metafora della “nostalgia”, parola che evoca molteplici risonanze, a partire dal “dolore del ricordo”, il ricordo di quegli anni Ottanta che hanno lasciato tracce indelebili nella memoria di ognuno di noi, nella moda, nei balli e soprattutto nelle canzoni. Il repertorio è ricchissimo: sfilano, in un excursus di frammenti emblematici, canzoni degli Spandau Ballet, di Mina, Cindy Looper, dei Queen, di Mango e De Andrè. Tra tutte domina “Fragile”, la canzone di Sting in cui è ritagliata una voce fuori campo, che scandisce la parola “fragilità”, centrale nella dimensione dell’adolescenza.
Nella partitura coreografica costruita con un grande coerenza di registri e stili, ma anche con un’estrema varietà di corpi (150 ballerini), di voci, con cori e solisti, viene evocata poi una parola-chiave: la “leggerezza”, uno dei valori che Calvino, proprio negli anni Ottanta, volle consegnare alle generazioni future. In uno scritto profetico, le “Sei lezioni per il prossimo millennio” frutto di un ciclo di conferenze americane, nell’incipit Calvino poneva la “leggerezza”, intesa come un valore ideale, una virtù che appartiene alla narrazione, alla sfera dell’immaginazione e forse anche dei sogni e della ambizioni giovanili. Oltre alla leggerezza, tuttavia, ritroviamo evocate nel musical anche altre “qualità” ricordate nelle lezioni di Calvino: innanzitutto la “rapidità” dei cambi di scena, o la vivacità e il brio delle interpretazioni musicali; poi l’ “esattezza”, che è tale nella recitazione e nella perfetta armonia delle danze che accompagnano le canzoni; ancora, la “visibilità”, quella dei costumi che rispecchiano, nei colori vivacissimi e nei tagli, la moda degli anni Ottanta; per finire poi con la “molteplicità” che è anche la dimensione ulteriore di uno spettacolo poliedrico, ove si alternano brani classici a spunti rock, parti accompagnate dal rap a frammenti di intensa liricità (tra i quali ricordiamo i pezzi eseguiti dal cantante lirico Giovanni Scola, da Marianna Bruzzese compositrice e pianista, e dalle due cantanti, Maria Elena Lombardi e Maria Di Spirito; brani accompagnati da splendide coreografie eseguite dalle ballerine Noemi Zingarelli e Stefania Gallo, infine dalle ginnaste Nicol Greco e Virginia Mastrogiovanni).
Suggestiva la scenografia, curata dal Professor Leonardo Ricci, a partire dall’insegna “I migliori anni” che cade al centro della scena e appare come sospesa come tutto il testo recitato, in una “rêverie” nostalgica in cui si armonizzano insieme i frammenti dell’ “educazione sentimentale” dei ragazzi degli anni Ottanta.
Il testo recitato è poi densissimo di riferimenti, metafore e rimandi impliciti: si alternano alle canzoni parti di racconto puro, come rapsodie tenute insieme quasi da un incantamento da “favola”, in cui prevale il tema del ricordo e quello del “doppio” (motivo dominante nel teatro del Novecento), con la protagonista che si specchia nella sua immagine da ragazza, per poi sigillarsi in un’unica forma, una forma plurima, ancipite, nel crescendo finale, in cui la sua alter-ego diciottenne stringe la mano a lei, ormai quarantenne.
Il grande merito della Professoressa Lenza che ha ideato il copione, creato la regia e allestito lo spettacolo è stato quello di credere tenacemente a un sogno, un sogno che ha preso corpo in un’aula con i vecchi arredi del Liceo, negli intervalli tra una lezione di greco e inglese, nei pomeriggi di prove insieme ai suoi amati allievi. I talenti dei giovani, le loro vocazioni vanno seguiti proprio così, con amorevole cura e soprattutto con passione, con quell’attenzione che Don Lorenzo Milani indicava come l’unica strada per costruire il delicato processo della formazione e dell’educazione.
Seguono i nomi degli allievi che hanno dato vita a un meraviglioso spettacolo.

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