Attualita'

Charlot: premio alla carriera per Bud Spencer


Per far ridere ha voluto trasformare la violenza, riuscendo nella titanica impresa di farla apparire meno cattiva, al fine di radicalizzare lo stereotipo dei “buoni” da difendere con ogni mezzo. Con l’imposizione della legge della sua mole ha quindi creato un modello nuovo di comicità in un periodo storico in cui il ricorso alla violenza cinematografica garantiva un impatto più leggero rispetto a tempi, quelli d’oggi, in cui invece scene di violenza autentica e di vero terrore entrano tutti i giorni nelle nostre case attraverso i Tg.
Per chiunque immagini impossibili da sdrammatizzare.
Bud Spencer, al secolo Carlo Pedersoli, è giunto a Paestum per ritirare il riconoscimento alla carriera riservatogli dal Premio Charlot e che gli sarà consegnato venerdì 29 luglio. E proprio a Charlot va il suo primo pensiero… “Charlie Chaplin –dice - è stato il mio modello base di ispirazione artistica. Gli bastava interpretare con i gesti e gli atteggiamenti peculiari del suo inimitabile personaggio i tempi che viveva per raggiungere l’obiettivo di presentare al grande pubblico una satira sana, artisticamente matura e per questo apprezzata ed immortale.
Come lui, anch’io ho puntato tutto sulla gestualità. Nonostante avessi a disposizione il vantaggio del sonoro, ho lasciato sostanzialmente spazio alle immagini lasciando ai suoni semplicemente la pur importante funzione di supporto. Per la verità non ho avuto molta scelta di personaggi a cui dare vita, data la mia stazza da 120 chili…”.
Come Charlie Chaplin, anche Carlo Pedersoli ha voluto interpretare in chiave satirica i problemi del suo tempo. Se allora Charlot per cinquant’anni (i primi dello scorso secolo) denunciava con ironia i lati oscuri della nascente meccanizzazione a discapito della classe operaia (Chaplin fu addirittura accusato di essere comunista e cacciato dagli Usa), del nazismo allora imperante (memorabili le parodie di Hitler a cui l’accomunava una spiccata somiglianza somatica) e della vita di gente senza volto né futuro (nella fiction era costantemente un errante, un vagabondo), Bud Spencer ha voluto di volta in volta interpretare la figura dell’emigrante italiano in America, del napoletano che si ribella con successo alla camorra “ma soprattutto – afferma con un velo di nostalgia – voglio ricordare la sdrammatizzazione del western, fino ad allora stereotipato sugli storici clichet voluti da Sergio Leone”. Operazione pienamente riuscita anche grazie a cooprotagonisti dal valore assoluto, ad esempio, di Terece Hill. A differenza dell’attore trentino, però, Carlo Pedersoli non ha mai voluto cambiare la filosofia artistica del suo personaggio. “Federico Fellini – svela – mi chiese di lasciare il comico per interpretare parti ‘serie’, drammatiche. Io al cinema sono arrivato in modo casuale: non me la sono perciò mai sentita di tradire il mio pubblico. Non ho mai accettato restando legato alle mie origini professionali”.
Molte quindi le similitudini con Charlie Chaplin nonostante quasi mezzo secolo di differenza d’età artistica: entrambi figli di realtà sociali difficili (il londinese trascorse infanzia e giovinezza in un regime di povertà quasi assoluta, il napoletano ha da sempre vissuto in una terra storicamente afflitta da problemi ancora oggi irrisolti), hanno saputo ribellarsi sul set (con l’astuzia il primo, con la forza fisica il secondo) interpretando i sentimenti del popolo, riuscendo a farlo ridere, divertire, rivoluzionando davanti alla cinepresa regole di vita invece ferree nella realtà.
Entrambi ad anni e chilometri di distanza misero in scena una tecnica artistica molto simile, sostanzialmente radicata ai principi del film muto. E proprio della tecnica della comicità Carlo Pedersoli dice: “Essa in questi anni si è diluita, trasformata, a causa dei tempi dell’industria televisiva che tutto macina e consuma non lasciando spazio al perfezionamento. Di conseguenza è molto più semplice arrivare presto all’attenzione generale come scomparire del tutto, improvvisamente. Fino a qualche lustro fa, invece, il pubblico lasciava maturare i tempi di crescita artistica dell’attore comico. Capitava di trovare sovente ‘bambini di 50 anni’ attratti da una preparazione completa che riuscivano pienamente ad apprezzare. Oggi invece non si può essere più bambini a 50 anni perché il continuo bombardamento mediatico di notizie drammatiche non lo permette; oggi il mondo è più triste perché in ogni suo angolo c’è la percezione in tempo reale di quanto di brutto accade altrove, anche agli antipodi. La conseguenza? Oggi è decisamente più difficile riuscire a far ridere”.

Paestum.it

Top
Condividi su Facebook
Condividi su Twitter
Condividi su Whatsapp
Condividi su Linkedin