Cronaca

Buonabitacolo: è l'ora della verità sulla morte di Massimo Casalnuovo

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Il 25 febbraio il processo d'Appello

Quella di Massimo Casalnuovo, 22 anni, è l'ennesima storia, tutta italiana, di una giovane vita spezzata, di un delitto avvolto dalla nebbia, di una morte che ha distanza di cinque anni non ha ancora un colpevole, di una giustizia che qualunque strada prenda non riconoscerà vincitori ma solo sconfitti. 

La storia che vi stiamo per raccontare è accaduta a Buonabitacolo la sera del 20 agosto del 2011. Massimo Casalnuovo, giovane valdianese, era in sella al suo scooter quando all'uscita di una curva si trovò davanti una pattuglia di carabinieri che stava effettuando una contravvenzione ad un altro ciclomotore. Nulla di sensazionale, niente di strano, se non quello che accadrà dopo. "Improvvisamente - racconta Osvaldo, il padre di Massimo - uno dei carabinieri, correndo, si avventa verso mio figlio sferrando volontariamente un calcio al motorino nel tentativo di farlo cadere (come testimoniato da terzi) e riesce in pieno nel suo obiettivo, infatti Massimo, perdendo il controllo del ciclomotore, finì la sua corsa contro un muretto di cemento".

Tutto questo sotto gli occhi della gente presente sul posto. "Con mio figlio per terra, palesemente agonizzante, il carabiniere ha osato dire superficialmente alla gente giunta sul posto che Massimo non sarebbe morto ed era inutile che loro si preoccupassero". Purtroppo non è stato così, il giovane, gravemente ferito, morirà poco dopo. 

Ma quella del padre di Massimo non è l'unica versione della storia. C'è quella dei carabinieri, diametralmente opposta, secondo cui il maresciallo ha inseguito il ragazzo nell'intento di leggere da vicino la targa del mezzo e di essere stato quasi investito da Casalnuovo, che ha perso il controllo del motorino dopo essergli passato sul "collo del piede sinistro". 

Il processo di primo grado ha stabilito la sua verità: assoluzione per il carabinierie dall'accusa di omicidio preterintenzionale con l'aggravante di abuso d'ufficio. Il processo avviene con rito abbreviato: niente testimoni, quindi, i giudici si basano solo sull'esito delle indagini.

Eppure, denuncia la famiglia,i testimoni ci sono, così come c'è quella vernice del motorino ritrovata sulla scarpa del maresciallo dalla Polizia Scientifica di Roma. Ma la storia di Massimo sembra non avere colpevoli e con il trascorrere del tempo si trasforma sempre più in un grosso punto interrogativo come quello che avvolge i soccorsi, avvenuti nei minuti successivi all'incidente. Durante il trasporto in ospedale - infatti - l'ambulanza si è fermata a metà strada per aspettarne un'altra adeguata. "Cosa necessitava l'arrivo della seconda ambulanza? Forse la prima non aveva il personale appropriato ad un codice rosso? O la chiamata di emergenza inviata al 118, inoltrata dal carabiniere, non aveva descritto il caso come codice rosso?", si chiede Osvaldo Casalnuovo.

Il punto sulla vicenda potrebbe metterlo il Tribunale di Potenza che il prossimo 25 febbraio si pronuncerà sul giudizio d'appello.

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