Moriva oggi il poeta Giuseppe Ungaretti: ecco il legame con il Cilento

È stato tra il 1931 e il 1933 che Ungaretti ha viaggiato molto come inviato della Gazzetta del Popolo, avendo così l'opportunità di conoscere anche i luoghi italiani

Antonella Agresti

Giuseppe Ungaretti, il grande poeta italiano, è stato definito da molti come un turista d’eccezione nel Cilento, una terra che ha avuto l’opportunità di conoscere durante un viaggio nel lontano 1932. Il suo amore per questa regione è stato tale da dedicarle diverse pagine all’interno del suo lavoro “Il Deserto e dopo”, precisamente nella terza parte intitolata “Mezzogiorno”.

La passione per la letteratura fin da ragazzo

Ungaretti, un poeta unico nel suo genere, ha scoperto la sua passione per la letteratura fin da giovane. Le sue amicizie a Parigi con i protagonisti dell’avanguardia artistica e letteraria come Apollinaire, Picasso, Modigliani e De Chirico sono state fondamentali per la sua produzione artistica.

Tuttavia, ciò che lo ha segnato profondamente è stata l’esperienza terribile della Prima Guerra Mondiale. Come volontario, ha combattuto sul Carso e sul fronte francese. È stato nelle trincee, circondato dalla morte fisica e spirituale, che ha scritto “lettere piene d’amore”, che poi sono diventate la raccolta “Il Porto Sepolto”.

Questa poesia rompeva con i canoni tradizionali, con versi liberi, assenza di punteggiatura e l’uso predominante di una parola “nuda”. Tuttavia, nella sua raccolta del 1933, “Sentimento del Tempo”, ha recuperato uno stile più tradizionale.

Il legame con il Cilento

È stato tra il 1931 e il 1933 che Ungaretti ha viaggiato molto come inviato della Gazzetta del Popolo, avendo così l’opportunità di conoscere anche i luoghi italiani. Nel primo capitolo di “Mezzogiorno”, intitolato “Elea e la primavera”, Ungaretti attraversa la piana del Sele durante il suo viaggio da Salerno a Velia. Non manca di annotare anche le bufale che si avvoltolano nel sudiciume per sfuggire alle mosche, e che vanno in giro con una crosta sulla quale cresce anche l’erba, portando i corvi che le prendono per zolle. Nonostante ciò, Ungaretti apprezza l’ospitalità e l’accoglienza di questa terra, definendola una terra ospitale e un luogo d’asilo.

Il passaggio ad Agropoli

Mentre si avvicina ad Agropoli, il poeta alza lo sguardo e osserva una rupe lastricata fino in cima da piccoli campi, come se fosse una geometria elegante. Si tratta della Punta d’Agropoli, che nasconde la città come un canguro sulla sua pancia. Ungaretti ammira la strada stretta che le case formano, che improvvisamente diventa quasi verticale, offrendo una prospettiva di persone in movimento. Quando arriva a Velia, è il silenzio a colpirlo e il poeta si ritrova a pensare ai grandi pensatori che hanno camminato su quella stessa terra. Si chiede se sia rimasto altro oltre a un po’ di polvere della città disperata e degli Eleati, i primi occhi aperti, ma sente la loro voce in quel silenzio. Ciò che era materia immortale in loro è immortale, anche nel suo corpo caduco.

Nel suo taccuino di viaggio, Ungaretti descrive anche Pisciotta e Palinuro. A Pisciotta, il paese si sviluppa in tre fasce su una parete: la più alta è il vecchio paese, con case pesanti e scure e grandi archi; in mezzo, ci sono ulivi sparsi come greggi di pecore; la terza, al livello del mare, è composta da case nuove e leggere, i cui muri sembrano torniti dall’aria in peristili. A Palinuro, il porto è caratterizzato da piccole case bianche, l’ultima delle quali è rosa, sembrano inizialmente biancheria stesa ad asciugare e poi blocchi di gesso. Ungaretti sottolinea la straordinaria trasparenza dell’acqua avvicinandosi al porto, ammirando la sabbia del fondo come pettinata delicatamente e le alghe che sembrano serpenti agitati.

Un capitolo particolare è dedicato a Paestum

La Rosa di Pesto testimonia la meraviglia del poeta di fronte ai templi: il tempo ha difeso da noi la meraviglia della loro forza, circondandoli di febbre e seminando paura per miglia. Man mano che ci avviciniamo, i templi diventano aridi, terribili, disumani e si trasformano in pura idea. Ungaretti osserva uno stormo di corvi fuggire dal tempio di Poseidone e, appena in aria, una cornacchia lancia il suo gracchio, seguita dalle altre che rispondono ripetendo il verso più volte. Il poeta nota come il canto delle cornacchie abbia la stessa metrica del tempio. Girando intorno ai templi, l’uomo raggiunge l’ultimo limite dell’idea del suo nulla, di fronte a un’arte che lo schiaccia con la sua misura.

Gli ultimi anni

Nonostante le esperienze di morte vissute durante la guerra e i numerosi lutti familiari, il cuore e la penna di Ungaretti non si sono arresi alla disperazione. Il poeta è riuscito a mantenere viva la meraviglia di fronte alla bellezza dell’arte e a conservare la fiducia nell’umanità, nonostante l’orrore e lo sgomento. Nel giorno del suo ottantesimo compleanno, Ungaretti ha affermato di essere stato un uomo della speranza, il soldato della speranza.

Nato ad Alessandria d’Egitto l’8 febbraio 1888, il poeta ha lasciato un’eredità letteraria che continua ad ispirare e ad affascinare anche dopo cinquant’anni dalla sua scomparsa. La sua passione per il viaggio e la sua capacità di cogliere la bellezza in ogni luogo lo hanno reso un testimone straordinario della sua epoca e un grande interprete del popolo cilentano e della sua terra ospitale. La sua scrittura, caratterizzata da uno stile unico e dalla profondità dei suoi sentimenti, rimane un patrimonio prezioso della letteratura italiana.

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