Italia fuori dai mondiali, parla il cilentano Angelo D’Angelo

Chiara Esposito

ASCEA. Il calcio italiano deve rialzarsi ancora una volta. Il ricordo delle “notti magiche 2.0” di questa estate, forse è già lontano.
Dopo aver metabolizzato la grande delusione di essere ancora una volta fuori dal campionato del mondo, abbiamo voluto analizzare i motivi che hanno portato a questa triste pagina. Per farlo abbiamo raggiunto Angelo D’Angelo, centrocampista della Cavese, ex capitano dell’Avellino, prossimo ad una nuova avventura nella sua terra, Ascea.

Il mondo del calcio italiano è profondamente scosso dall’eliminazione dell’Italia dal Mondiale. Dopo Russia 2018, siamo fuori anche da Qatar 2022. In molti hanno puntato il dito sulla mancata crescita dei vivai italiani, i settori giovanili sono pieni di ragazzi che vengono dall’estero. Qual è il tuo pensiero?

La mancata qualificazione della Nazionale è stata un brutto colpo, soprattutto per l’importanza della nostra storia calcistica. Secondo me bisogna porsi più di una domanda e mettere in pratica un cambiamento che parta dalle fondamenta. Quando giocavo in serie B, spesso in squadra trovavamo molti giovani dei settori giovanili che però non erano ancora pronti al grande salto. Il talento di un calciatore è visibile, ma fondamentalmente è la sua crescita. Nei giorni scorsi sui miei canali social ho postato un articolo importante nel quale si parlava dei centri di formazione francesi presenti nella stragrande maggioranza del Paese, dove il giovane viene allenato anche a quella che è la pressione che il mondo del calcio porta con sé! Una crescita non solo a livello calcistico ma un’impostazione al mestiere di calciatore che va dai rapporti con la stampa a quelli con i tifosi, alle critiche e agli elogi, fino alla formazione scolastica e culturale. A parlare sono i risultati raggiunti dalla loro Federazione. Ecco, non dico di fare un copia e incolla, ma quanto meno di buttare l’occhio a quello che è l’approccio con le nuove leve. Non dobbiamo più mirare al risultato se la crescita individuale del calciatore resta in stallo, questa è una nostra grande pecca. È un tipo di ragionamento che a lungo termine non porta a grandi risultati, ed in parte l’abbiamo visto.

Alcuni grandi nomi del nostro calcio, già anni fa avevano fatto quest’analisi. Capello nel 2010 affermava che alcuni colleghi peccavano di coraggio, Sacchi nel 2014 chiedeva di allevare i veri campioni, tutti sapevano, eppure nulla si è fatto, o poco…

Si, diciamo che sono scelte che mirano ad un cambiamento radicale in ogni ambito, che sia politico o economico, e non è semplice. C’è poco investimento nel settore giovanile e le forze sono maggiormente concentrate sui risultati delle prime squadre.

Qual è secondo te il cambiamento importante da fare?

Bisogna procedere per gradi, e dare importanza a qualsiasi passo del giovane calciatore, in modo tale che quando toccherà i livelli di prima squadra, e parlo di Seria A, Serie B o Lega Pro, non si trovi impreparato ma pronto a reggere la competizione sia dal punto di vista fisico, mentale che psicologico. Bisogna adeguarsi al cambiamento, e costruire una nuova scuola di pensiero nostrana al passo con i tempi. Non mi sento di spendere consigli, sono convinto però che la Federcalcio saprà scendere in campo in prima persona.

Una nuova parentesi per il calcio italiano che può gettare le basi anche e soprattutto da piccoli…

Si, come sapete a settembre inizierà un nuovo progetto per me. Proprio qui ad Ascea, nascerà la D’Angelo Soccer School ed è per questo che l’ argomento mi tocca un po’ da vicino. Anche le scuole calcio possono e devono far parte del cambiamento. Certo, nei primi anni la parte ludica, il divertimento, la passione è molto importante, non bisogna mai dimenticarlo, però, è parlo per esperienza personale perché l’ho vissuto sulla mia pelle, all’età di 12 anni il ragazzino va seguito per bene, bisogna arricchire il suo bagaglio tecnico-tattico ed accompagnarlo in tutte quelle importanti opportunità che possano presentarsi. La figura dell’allenatore, ad esempio, è fondamentale: c’è bisogno di gente che conosca bene il mondo del calcio, io stesso ho avuto un po’ di difficoltà nel settore giovanile dove sono stato. In conclusione, il talento va preservato e coltivato, molti ragazzi che ho conosciuto e che per una serie di motivi non ce “l’hanno fatta”, posso assicurarvi che erano molto più bravi di me.

Un’ultima domanda ad Angelo tifoso e non professionista. L’Italia può ripartire con Mancini?

Da tifoso spero di sì, la scia positiva che ha portato alla vittoria dell’europeo, non si può dimenticare. Da “addetto ai lavori”, fossi in Mancini ci penserei un po’ di più, forse darei le dimissioni. C’è in ballo la credibilità della sua carriera e sarebbe un peccato “macchiarla” nonostante i risultati ottenuti.

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