Agropoli: covid e mondo dello spettacolo, intervista ad Umberto Anaclerico

Annalisa Siano

Il teatro ha sempre rappresentato la migliore forma di espressione per l’uomo, un incentivo al divertimento e all’aggregazione sociale.
Ad Agropoli, già nel secondo dopoguerra, si iniziarono a percepire i primi fermenti d’interesse culturale. Con l’attivazione di diverse tipologie di scuole e la nascita del Liceo Classico, presero vita anche i primi circoli letterari, le compagnie teatrali amatoriali e i cinema. Agropoli diventò il polo culturale di riferimento di una vasta area del bacino cilentano.

Ancora oggi il teatro ha un ruolo importante, anche nel quotidiano, come spiega Rosanna Antelmi, già vicepreside del liceo “Gatto” che ha vissuto con fervore, la materia del teatro nei licei:
“La pedagogia ci insegna quanto sia importante il consolidamento del carattere del bambino, che un giorno diventerà un adulto sicuro di sé, grazie soprattutto alla partecipazione della messa in scena di uno spettacolo teatrale, che contribuisce a raggiungere questo intento… dall’imparare a memoria un testo a curare la scenografia, sono tutte fasi che servono anche allo studente più introverso a sentirsi in armonia con un gruppo, a ritrovare sé stesso e a distogliersi dalla noia e solitudine.”
Questo forse è l’aspetto che manca più di tutti, da quando il Covid è entrato senza preavviso nelle nostre vite.

Oggi ad Agropoli il punto di riferimento dell’attività teatrale è il Cineteatro Eduardo De Filippo. Proprio su quel palco si è espresso più volte il talento dell’artista cilentano Umberto Anaclerico.

Nato cinquantasei anni fa a Roccapiemonte, negli anni ’70 si è trasferito con la sua famiglia nel Cilento, una terra che ha fatto subito sua.
Umberto trascorre la sua vita ad Agropoli, dove è circondato dal calore delle “sue” donne: sua moglie, le sue tre figlie, la suocera e la gatta (“ti lascio immaginare le mie condizioni psicofisiche!”, racconta). Ina brillante e sempre pronta ironia la sua, di cui non può fare a meno, come non può fare a meno del suo grande amore: il teatro.

Non si ritiene un attore professionista, nonostante lo faccia da molto tempo, e la sua è stata una formazione da autodidatta. Passione nata a scuola, presso ITC Vico, nell’anno scolastico ’82-’83 quando, grazie alla professoressa Annamaria Rizzo e a Gerardo Santosuosso come regista, ha avuto la possibilità di misurarsi per la prima volta in una rappresentazione teatrale. Il suo amore per la recitazione è cresciuto negli anni ed Umberto ha alimentato questo amore autonomamente, acquistando libri che parlavano di teatro e avendo la possibilità di fare casting cinematografici che gli hanno permesso di prendere parte a numerosi film, godendo del piacere di affiancare grandi nomi del cinema italiano.

“Mi sono fatto da solo, devo tutto alla mia caparbietà e alle mie tasche”, dice.

In questo periodo di emergenza covid abbiamo voluto raccogliere il suo urlo di dolore per la categoria degli attori e di quanti ruotano attorno al mondo dello spettacolo, che sembrano dimenticati dalle istituzioni.

Umberto, siamo abituati a vederti nelle vesti di attore satirico. Tu che sai strappare sempre un sorriso in teatro, quale messaggio di speranza lanceresti agli uomini e alle donne di spettacolo che a causa del Covid-19, sono fermi da un po’?

“Il teatro sta vivendo un momento particolare! E non è il solo, ma tutti i settori del mondo dello spettacolo, anche il cinema, al pari di altre realtà danneggiate enormemente dal virus, come la ristorazione, i bar e le altre attività che non sono ahimè di primaria necessità. La cosa però ha risvolti tragicomici: da un lato la disumana tragedia… le persone a casa, tutti i teatranti e i facenti parte della macchina che si muove dietro le quinte, dai siparisti ai truccatori e dall’altro lato la commedia… la spregevole beffa dello Stato, che incompetente nell’intervenire, non ha fatto altro che far ridere, per non far piangere gli attori. ‘A speranza e’ semp’ sola, cantava Pino Daniele, ma una luce in fondo al tunnel si inizia a intravedere! La speranza, infatti, è quella di tornare al più presto a varcare la soglia del palcoscenico, di fare teatro e di emozionarsi per emozionare, perché non esiste nulla di più bello.

Il mondo del Cinema, ha avuto un primissimo sblocco che ha permesso di camminare in maniera un po’ più veloce, grazie soprattutto alla soluzione di effettuare i tamponi sul set, metodo che permette di portare avanti i lavori e sono state riprese e girate già molte fiction e film, produzioni RAI e Fininvest. Si è potuto, dunque, tornare a lavoro, ebbene si perché quello dell’attore è un lavoro, un sacrosanto lavoro, anche se in molti non se lo vogliono mettere in testa, ma è una professione nobile e al pari delle altre. Per molti questa pandemia ha rappresentato un problema, perché non prendiamo sempre e solo in considerazione i big dello spettacolo, ma a volte ricordiamoci anche di tutto il resto attorno e di quante famiglie hanno rischiato di non poter mettere il piatto a tavola. Mi riferisco agli attori, agli scenografi e a quanti vivono un po’ più nell’ombra. Come devono sopravvivere senza gli aiuti dello Stato o se gli aiuti arrivano dopo quattro mesi? Eppure abbiamo avuto l’esempio dai governi esteri (Francia, Germania…), appena scoppiata la pandemia, hanno subito inviato sostegni del valore di € 1.500 al mese ad ogni singolo attore. Qui in Italia, gli attori hanno ricevuto in tutto € 2000 ma alla fine di quattro mesi.

Pensi che lo Stato abbia agito nell’unica maniera possibile nei confronti di queste categorie o poteva fare di più?

Sento di poter affermare con certezza che la cultura è stata maltrattata, si perché la cultura fa male… in un mondo che ci vuole sempre più ignoranti, la vera forza per un governo che ci vuole sudditi, è l’ignoranza! Un punto sul quale ci terrei, infatti, a soffermarmi è la gravità del “coprifuoco” alle ore 22:00, che va assolutamente prolungato di almeno due ore, perché in queste condizioni, non permetterebbe di portare in scena uno spettacolo… la vera presa in giro del governo nei nostri confronti è questo concedere a metà, riaprire ma con coprifuoco, che comunque non renderebbe il tutto possibile.

Oltre a rappresentare una realtà sul territorio, hai avuto molte esperienze anche al di fuori del Cilento, che legame hai con esso? Lo porti in scena sui palcoscenici fuori casa?

Sul nostro territorio sono presenti variegate realtà teatrali e io con la mia, nonostante il periodo di fermo, dovuto all’alternarsi dei vari colori delle zone, stiamo già lavorando a futuri progetti.
È normale che io abbia sempre portato tanto della mia Terra durante i miei spettacoli, perché io sono profondamente innamorato di essa, purtroppo non tutti mi amano allo stesso modo, perché dico sempre quello che penso, riporto spesso a galla alcune pecche della realtà, sono un personaggio scomodo e questo non sempre mi fa apparire ben visto da tutti. Ma preferisco restare coerente con me stesso e con i miei sani principi.

Se potessi dire qualcosa ai giovani cilentani che risentono a livello sociale del Covid, cosa diresti loro?

Ai giovani del Cilento, nutro la necessità di dire la stessa cosa:
“Studiate, acculturatevi, leggete tanto, di tutto, il sapere e la conoscenza non vi renderanno mai schiavi, ma per sempre liberi e aggrappatevi al teatro, perché può rappresentare un motivo più per sorridere o tirarvi su nei periodi più bui della vostra vita , perché ricordatevi una cosa… the show must go on”.

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