Partite a porte chiuse. A megafono spento, l’urlo di Zio Liberato per incoraggiare i “suoi” delfini

Annalisa Siano

È degli ultimi giorni la notizia che presto sarà di nuovo possibile tornare a sedersi in tribuna, per supportare le squadre del cuore. Vittima dell’emergenza sanitaria mondiale ancora in corso è, infatti, anche il mondo dello sport.

Numerose sono le società sportive che, purtroppo, da un anno a questa parte affrontano drammatiche emergenze, soprattutto dal punto di vista economico.

Oltre all’ampio ventaglio di figure professionali che ricoprono durante le partite a porte aperte svariati ruoli, dal botteghino d’ingresso alla security, destabilizzante a livello sociale è risultato lo scenario triste dei palazzetti vuoti, privati della loro fede, della loro anima.

L’atmosfera del palazzetto la domenica dopo pranzo… gli striscioni colorati… l’odore dei fumogeni… la playlist dello speaker… il riscaldamento dei giocatori pre-partita… l’esaltazione per un canestro da tre all’ultimo secondo… la gioia negli occhi di un bambino che sogna di scattare una foto con il suo idolo… la voce fuori campo del telecronista… il boato della tifoseria.

Tutto questo e molto altro ancora si consumava prima della pandemia tra gli spalti dei palazzetti.

A catapultarci nel clima dei cori pre-virus e degli anni d’oro del Basket Agropoli è il leader Liberato Sarnicola, lo “Zio degli Ultras”.

Un soprannome che ha origini radicate nella sua passione per il basket, iniziata da bambino, quando in campo era sempre il più alto e il più grande per età… un appellativo che si è trascinato negli anni, fino ai giorni di oggi, poiché, anche in famiglia, tutti lo conoscono come il buon “Zio” del gruppo.

Trentasei anni e un forte carisma, Liberato è innamorato della sua Terra, il Cilento, e del meridione in generale.

Gode di una vita vista mare… ogni mattina, dalla finestra di casa, si perde nell’azzurro di quei colori, che lo riportano alle sue squadre preferite.

Tanti tatuaggi sulla sua pelle, tante storie da raccontare… oggi ce ne svelerà qualcuna…

Qual è l’emozione più forte e il ricordo più bello che conservi degli anni da spettatore in tribuna?

Senza alcun’ombra di dubbio, l’emozione più forte resta l’esordio in serie A2 della Polisportiva Basket Agropoli. Ricordo il Paladiconcilio gremito, un grande entusiasmo e poi quella vittoria, fino a qualche anno prima del tutto impensabile. Quella si rivelò una serata storica per la BCC Basket Agropoli, che vinse per 89 punti a 87 contro il Basket Barcellona. Il coach Paternoster portò la vittoria a casa, nei secondi finali, grazie al canestro decisivo di Roderick! Ogni singolo momento trascorso sulle gradinate del Paladiconcilio, come di altri stadi o palazzetti, lo custodisco in maniera indelebile dentro di me, perché mi riporta alla mente un mare di emozioni, condivise insieme a persone spinte dal mio stesso amore per la squadra della mia città. Ogni attimo speso nel seguire le trasferte o gli avvenimenti in casa mi strappa un sorriso e trovo che non esista nulla di più emozionante al mondo.

Pensi che lo Stato abbia deciso nell’unica maniera possibile per tutelare la salute dei cittadini o che con le dovute distanze sarebbe stato possibile assistere alle gare in presenza? Inoltre, molte figure professionali che ruotano intorno al mondo dello sport sono rimaste a casa. Se potessi lanciare un messaggio di speranza, cosa diresti loro?

Penso vivamente che la scelta dello Stato nei confronti degli eventi sportivi sia stata la più saggia di tutte. Il Covid ci ha preso di soprassalto, è arrivato all’improvviso nelle nostre vite, sconvolgendo i nostri piani e le nostre abitudini. Ciò non toglie che la tutela e la sicurezza della nostra salute restano, al momento, la vera priorità su tutto e il seguito che tali gare o partite hanno generalmente non permette assolutamente di salvaguardare la salute né negli ambienti professionistici né tanto meno in quelli dilettantistici, dove i mezzi e le risorse scarseggiano già di per sé.

Questa terribile malattia ha colpito senza esclusione di colpi diversi settori e non sempre a pagarne le conseguenze è solo chi è facilmente riconoscibile in vetrina come i giocatori, ma esiste tutta una categoria di “invisibili”, che prende parte agli eventi sportivi per guadagnarsi la giornata e sto parlando di un semplice cassiere di un botteghino, di un magazziniere, di uno steward! È a costoro che va il mio più sentito abbraccio di speranza… la speranza di non demordere, perché dopo le tempeste esce sempre il sole, anche questo incubo finirà e ogni tassello preparatorio per la riuscita di una perfetta partita ritornerà al suo posto.

Da un anno a questa parte le squadre si sfidano a porte chiuse. Quanto pensi sia difficile per i giocatori gareggiare senza lo sprint dei tifosi?

Questa domanda mi mette molto in difficoltà, dal momento che la risposta è molto soggettiva. Seguendo la logica di una “libertà mentale”, per molti giocatori che si ritrovano a giocare una gara fuori casa, non è semplice gestire una partita, con mille o più tifosi che gli urlano contro. In alcuni casi, dunque, le tifoserie si rivelano molto più nocive di quanto si pensi. Ma la verità è che, per una squadra che ha bisogno a tutti i costi di intascare la vittoria e dichiarare salvo il campionato, la carica dagli spalti si rivela essere la migliore delle “armi”. Nulla rafforza un cestista più del grido di incoraggiamento dei suoi fan.

Da veterano pensi che il Covid abbia negato agli adolescenti la possibilità di formare una nuova classe di tifosi? Cosa auguri loro?

Questo maledetto virus ha, in effetti, rallentato la formazione di una nuova generazione di tifosi. Prima del Covid, molte famiglie raggiungevano il palazzetto in occasione delle gare, accompagnate dai propri figli, sia di sesso maschile, che femminile. E si stavano appassionando decisamente molto, creando nuove entusiasmanti realtà sul territorio. Purtroppo questo campionato, e non parlo solo di questo locale di basket, ma di tutti i campionati, senza distinzione di sport o categoria, si concluderanno, senza la vera essenza che una squadra possiede e cioè i suoi tifosi, perché senza tifosi non esisterebbe neanche il gusto di giocare una partita… io non conosco una sola squadra che dietro non abbia almeno un tifoso. L’augurio è quello di tornare presto ad indossare le nostre maglie, ad inseguire la nostra passione, a cantare a squarciagola i nostri inni migliori e ad amare la nostra città, Agropoli, anche attraverso lo sport e la pallacanestro… ma più che un augurio… la mia è una certezza!

Dall’alto degli spalti, a livello sociale, quanti rapporti di amicizia nascevano? Vi sentivate una grande famiglia?

A differenza del calcio, settore che per anni ha avuto e che ancora oggi ha una tifoseria organizzata, a livello locale per il basket non ne esisteva una specifica, bensì gli appassionati si recavano individualmente al palazzetto. Solo in seguito, alla forte risonanza acquisita dalla squadra, negli anni delle serie più alte, abbiamo iniziato ad avvertire, la necessità di salire di livello anche noi, perché consapevoli di doverci rapportare con piazze storicamente più importanti. Fu così che demmo vita ad un primo gruppo ultras, dal nome Brigata Saracena, un gruppo misto e molto corposo, che si avvaleva di tifosi di tutte le età, dai 13 ai 70 anni. Ad un certo punto, però, una quindicina di noi, che supportava in maniera più accanita la squadra, ha deciso di distaccarsi e radunarsi intorno ad un ulteriore gruppo: i “Blue Bloc”. Ciò che i Blue Bloc rappresentano per me non si può limitare a ciò che da fuori si può immaginare e cioè un semplice gruppo di ultras, che si incontrava alle partite o in settimana per organizzare le trasferte e le coreografie, ma siamo prima di ogni cosa fratelli, una seconda famiglia! Alla fine le amicizie che nascono sulle gradinate si confermano essere uno dei lati più affascinanti di questa avventura e sono ciò che più manca dall’incredibile scoppio di questa pandemia. Ma se chiudo gli occhi per un istante, lo riesco ancora ad immaginare… il sogno di “un cielo sempre più blu”.

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