La storia di Frate Stefano di Agropoli: “un mascalzonaccio zoccolante”

Ernesto Apicella

Oggi vi racconterò una storia straordinaria che vede come protagonista un giovane agropolese vissuto nel XVII secolo.
Sul giornale letterario illustrato della Domenica “La Tavola Rotonda”, del 1893, a pagina 2 si legge: “C’era una volta, forse duecento anni fa, in Napoli, un mascalzonaccio zoccolante, il quale di peccati mortali ne avea…Fu d’Agropoli…”.
Vi riassumo in poche righe la storia, molto lunga e particolareggiata, di questo “tanghero” di Agropoli, che già da bimbo, fu monello; adolescente, scavezzacollo; giovane, discolo. Dopo aver compiuto un omicidio, per scampare alla sicura morte, vestì l’abito di San Francesco d’Assisi nel Convento di Agropoli, facendosi chiamare “Frate Stefano d’Agropoli”.

In seguito, continuando la sua vita da “ribaldo”, fu spedito a Napoli, dove: “Non tutti i frati del Convento erano stinchi di santi. Ma un diavolo incarnato non s’era mai visto nell’Ordine”. Frate Stefano d’Agropoli dove varie truffe, ruberie e misfatti al gioco del Lotto, si imbarcò su una galea barbaresca e, rinnegando Cristo, abbracciò la fede musulmana, facendosi chiamare Alì. Con le sue gesta da pirata, divenne famoso e ricco, tanto da acquistare un fastoso palazzo con cento eunuchi e cento schiave. Ma durante una scorreria sulle coste italiane, il brigantino dell’Agropolitano fu affondato da due galee maltesi.

Alì (Frate Stefano d’Agropoli) fu ferito mortalmente e al buon sacerdote che voleva salvare quell’anima, l’Agropolitano rispose: “Hai sbagliato rettorica, per questo Cristo ebbi a farmi turco”.

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