Intervista ad Antonio Longo, fondatore e amministratore dell’azienda Santomiele

Rossella Tanzola

Situata nel borgo di Prignano Cilento, il paese dei fichi bianchi, Santomiele nasce nel 1930 come azienda agricola, per poi diventare un vero e proprio laboratorio venti anni fa. L’attuale struttura era un vecchio frantoio oleario oggi completamente ristrutturato ma con i resti visibili della roccia originaria (roccia sulla quale crescono gli stessi fichi), al cui interno lavorano in media quindici persone. Come da tradizione la lavorazione dei fichi è esclusivamente legata al mondo femminile, ma gli uomini che sono presenti in azienda danno una mano nei campi, nella raccolta e nei processi di lavorazione.

Questa roccia è particolarmente importante grazie ai suoi minerali. I fichi del Cilento sono diversi da tanti altri fichi perché il fico cilentano è la varietà cultivar dottato, questo dottato è presente anche in Calabria e in Sicilia, ma in ogni regione ha proprietà e profumi diversi e il risultato finale resta unico in quanto deriva dalla lavorazione e dalla trasformazione dell’uomo che lo rende un prodotto esclusivo.

L’azienda accoglie il visitatore nella struttura con una citazione di Parmenide, filosofo nato nel Cilento per marcare le origini della Magna Grecia: “Signori state tranquilli perché in questo luogo voi non avete smarrito la strada anzi vedrete cose che fino ad oggi non avrete mai visto e di cui del luogo non c’è certezza.”

All’interno dell’azienda Santomiele circa un anno fa è stato inaugurato uno spazio nuovo con dei tumuli di essiccazione per ricostruire la vecchia Agorà, ossia la piazza dove nel mondo contadino si mettevano i fichi ad essiccare, ma in questo caso è stata progettata in una versione moderna e tecnologica. Le serre sono state brevettate dallo staff dell’azienda Santomiele in maniera da bloccare le radiazioni ultraviolette e permettere al fico essiccato di mantenere un colore molto chiaro. Ma la novità e la rivoluzione è proprio questa: in queste serre di notte i fichi continuano ad essiccarsi perché l’energia accumulata durante il giorno viene rilasciata attraverso delle ventole e dei termostati, che continuano ad andare avanti nel processo di essiccazione.

Il giardino bianco, dedicato al fico bianco del Cilento, è stato realizzato dall’azienda per ospitare giovani in occasione di eventi e manifestazioni culturali ed enogastronomiche, ha uno scopo polifunzionale in quanto tutto gira intorno all’Agorà, che è il centro della struttura e che un tempo nelle aziende agricole era il luogo in cui si batteva il grano, si essiccavano i fichi e si pascolavano gli animali. L’azienda è partita con una ricostruzione della storia attraverso l’Agorà. Dopo l’essiccazione i fichi vengono sterilizzati, per sterilizzarli Santomiele li lava, poi vengono passati al forno per poi essere sottoposti uno ad uno a controlli finali.

I fichi vengono tagliati da Agosto a Dicembre, controllati e farciti, lavorati dagli operai in un laboratorio di 50 metri quadrati senza macchine, in modo manuale, con i suoi processi lenti, ed è questo a fare la differenza. Vengono farciti con noci, mandorle, cannella e bucce di arance. Infine passano nella sala chiamata sartoria, sempre senza macchine, dove avviene il confezionamento tramite dei fogli di carta che sono cuciti intorno al prodotto con ago e filo, impiegando cotone, nastri ed etichette. Non a caso i tavoli sono stati progettati facendo riferimento alle antiche sartorie toscane, tavoli di legno alti e lunghi dove i tappezzieri stendevano le loro tele.

La filosofia dell’azienda Santomiele è lavorare con tante piccole realtà del Cilento: contadini, operai e professionisti che per tradizione coltivano ed essiccano i fichi. In venti anni di attività oggi Santomiele collabora con sessanta aziende del territorio e grazie a questa collaborazione nel 2018 Antonio Longo e il suo socio Corrado del Verme sono stati convocati al Palazzo delle Nazioni Unite a New York per raccontare come Santomiele nel suo piccolo ha dato un contributo economico ed ambientale nel Cilento. Economico perché lavora con la massaia e il piccolo contadino ed ambientale perché si basa sulla politica dei tanti terreni abbandonati, che oggi sono diventati dei giardini a fichi.

A Prignano Cilento c’è una tradizione unica in un contesto nazionale: i fichi quando sono maturi e pronti per essere mangiati vengono sbucciati come una mela, essiccati al sole e restano bianchi grazie alle sue proprietà. Sono l’esempio di una lavorazione unica a livello mondiale, anche se poi nel tempo la stessa tecnica si è un po’ diffusa nei comuni limitrofi, ma il primato di Prignano Cilento nella fichi cultura rimane l’esempio di una lavorazione unica a livello mondiale.

Domande

  • Cosa le ha fatto pensare di chiamare la sua azienda Santomiele? È stato difficile trovare una parola che rappresentasse il simbolo di un prodotto come il fico bianco del Cilento?

L’azienda si chiama Santomiele perché mio nonno comprò questo appezzamento di terreno in località Santomiele, vicino ai templi di Paestum. Lo stesso nome non era mai stato usato nel settore del miele e quando andammo a registrare il brand per fortuna mai nessuno l’aveva utlizzato nella categoria food.

  • La sua idea è sempre stata indirizzata ad un target ben preciso con uno stile unico, oppure ci ha lavorato nel tempo perfezionandola?

Ho sempre avuto delle idee chiare sin dall’inizio: lavorare sulla qualità di un buon prodotto e trasmettere un’immagine diversa al fico all’interno dei negozi, tant’è vero che uno dei primi prodotti che realizzai fu il fico confezionato singolarmente per trasmettere un’immagine differente attraverso un pack rivoluzionario.

  • Quale consiglio si sente di dare ai giovani che vorrebbero investire sul territorio ma che non hanno abbastanza coraggio per farlo e spesso scappano via?

Prima di ogni cosa i giovani devono credere in quello che fanno, saper aspettare ed essere costanti, inoltre consiglio sempre di partire da un piccolo investimento ridotto al minimo perché il rischio di impresa è altissimo. A livello nazionale otto su dieci imprese non ce la fanno. Quando venti anni fa recuperai la tenuta agricola Santomiele partì da zero in un piccolo garage e utilizzando il forno di casa. Lo slogan più diffuso è: “Partite da un garage!”

  • Il covid 19 è stato un momento buio per tutti, ma si è rivelato anche l’occasione per riflettere sui valori autentici della vita, come l’importanza delle cose semplici, i tesori nascosti e il rilancio dei borghi abbandonati. Secondo lei cosa possiamo fare per rendere questa fase non solo “un momento di passaggio” ma l’occasione giusta per conoscere meglio e convivere con delle realtà uniche e sconosciute come il Cilento?

In questo cambiamento che c’è stato il futuro della Santomiele è quello di continuare a portare avanti la nostra filosofia di vita, ossia valorizzare il Cilento in maniera elegante perché forse in passato tante volte non è stata comunicata la sua bellezza. Questo spazio ha puntato molto sul design per comunicare la meraviglia, in quanto il Cilento non è solo la natura e il mare. Noi vogliamo raccontare la nostra terra in questo modo: recuperare terreni abbandonati, dare un futuro ai nuovi imprenditori nel nostro piccolo, non lasciare questa terra ma continuare a salvaguardarla e promuoverla concentrandoci sui valori essenziali.

  • Chi visita la sua azienda mostra interesse solo per il prodotto finale oppure è curiosa di conoscere anche la storia del territorio, gli usi, i costumi e le tradizioni di un paese come Prignano Cilento?

Il 95% delle persone che visita Santomiele parla benissimo del Cilento, in particolare della natura e dell’archeologia. Però c’è anche una clientela che si lamenta dei servizi e di alcuni atteggiamenti nei confronti dei turisti. C’è da lavorare molto sull’accoglienza e sull’ospitalità, e per poter agire correttamente bisogna prima aver fatto un minimo di esperienza fuori da queste piccole realtà, solo così è possibile capire quello che manca. Una cattiva accoglienza ti tronca le gambe ancora prima di partire e il potere del social è micidiale perché diffonde velocemente le note negative. I visitatori che entrano in azienda sono interessati non solo al prodotto finale ma a tutto il lavoro che lo precede, sono incuriositi dalle radici del territorio, perché i fichi sono l’espressione finale del Cilento.

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