In libreria “Estate”: la raccolta antologica di poesie del cilentano Menotti Lerro

Letizia Baeumlin

OMIGNANO. Non poteva che essere straordinaria – dato che coincide con l’inizio dell’estate più attesa e incerta degli ultimi decenni – l’uscita del secondo volume antologico (in precedenza Primavera raccoglieva i testi dal 1997 al 2008) che presenta tutte le poesie di Menotti Lerro scritte dal 2008 al 2020. Introdotte elegantemente da un maestro come Giampiero Neri, il testo si presenta ricco di contenuti e giochi letterari. Al coltissimo “poemetto” iniziale di 1254 versi, Gli anni di Cristo, denso di figure mitiche e religiose, fanno seguito più di 500 poesie.

Un percorso intenso, come ricordano, sulla quarta di copertina, le parole di un altro dei grandi maestri di Lerro, il compianto Giorgio Bàrberi Squarotti, che scrive: “Discorso poetico altissimo fra tragicità e luce. Culmine ben raro nei nostri tempi (e anche in passato)”.

Sulla stessa quarta troviamo altre due autorevoli citazioni. Lo scrittore Roberto Carifi definisce Lerro come “uno dei poeti più interessanti dell’attuale panorama nazionale italiano”, mentre l’insigne Alessandro Serpieri, anch’egli scomparso di recente, sottolinea “la peculiare forza espressiva modulata con immagini spesso sorprendenti e con una sapiente tecnica ritmica e/o metrica”. Il volume –uscito per la casa editrice Ladolfi di Borgomanero– è arricchito da un“Nuovo Manifesto Sulle Arti” scritto insieme all’amico artista e docente dell’Accademia di di Brera, Antonello Pelliccia, e chiude, le ben 340 pagine, con un delizioso componimento che svela un mito artistico-letterario sconosciuto e disvelato in sogno, al poeta campano, da Zeus padre.

Si tratta del mito di Unus: un semidio che simboleggia il primo “Artista Totale”, smembrato per invidia dai fratelli, determinando così la conseguente divisione tra le arti giunta fino alla contemporaneità. Un testo, quello di “Unus e i suoi fratelli” che serve all’autore come esempio sublime dopo il “discorso/manifesto” inneggiante proprio all’unione tra le arti… In merito alle poesie, infiniti sembrano essere i temi trattati. Un viaggio vulcanico di versi e pensieri carichi di passione, sapienza, riflessioni filosofiche, intuizioni originali, verità percepite o confessate. Centrale, come in ampia parte della sua produzione, la figura dell’amato padre ma, come afferma Neri nella prefazione “[…] nella sua scrittura c’è molto altro, ed ecco che gli elementi privati diventano universali ed esemplari, così come lo sono quelli impersonali”.

Estate è un viaggio letterario e di vita mirabile. Il simbolo della rinascita e della stagione più bella per ogni uomo, quella del sole, della pienezza dello spirito e della maturità. Un libro meraviglioso di poesia autentica, che tutti gli appassionati del verso, di letteratura, di filosofia e di estetica dovrebbero sempre tenere sul proprio
comodino per trarne luce, forza e calore.

Di seguito alcune poesie di Menotti Lerro

*

Pomeriggio d’agosto,

nell’orto i fichi esplodono sui fiori.

Le cicale s’ammalano d’amore

temendo l’inverno.

Uno spauracchio non ha più occhi

né bocca, ombre che divorano.

L’aria si fa d’oro. Il sole s’allontana

come l’oro della mia giovinezza.

*

Chi ti vide esatto profumo del tempo?

Febbrilmente svaporata rosa fin dentro

al suo legno. Bastò un baleno di paura

per l’indicibile sconforto di fanciullo.

Nella foto s’abbevera e colma la soglia

lacera che serba ai tuoi nemici ghirlande

nere come l’odio, come taciti scarabei

nascosti nel fogliame. S’annodano

i giorni abbrividendo fino alla polpa.

*

Ormai non lo so se sia estate

o inverno, se è declinata davvero

la deturpante stagione tra le ciglia.

Basta così poco per ripiombare nella forra.

Mi basta percepire che ti ho sognata,

anche se al mattino non ho scorie; vedere

appena un tralcio d’erba pensile danzare

beffardo fuori dalla finestra che già sprofondo,

sconfinato tormento; setacciare i canali

dove mi cercavi…

A fatica mi rimescolo tra le coperte,sonnecchio ancora un po’, sperando

che qualcosa appaia o scompaia

in questo folle marasma d’addio.

*

Sull’alpestre vetta

che ci donò le fragole e le ombre

nei giorni della fuga, ritorno.

E dalle stesse pietre sovrapposte

– eterna dimora – rivedo ogni cosa

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