Pandemia da Covid-19… la storia di Agropoli ci insegna del perché è importante restare chiusi in casa

Ernesto Apicella

Le restrizioni sociali di queste settimane, dovute alla pandemia da Covid-19, ci sembrano esagerate, nonché dure da ottemperare. Stiamo tutti lottando, anche con pesanti danni economici, per salvaguardare la nostra comunità. Purtroppo molti concittadini, per futili motivi, escono di casa, passeggiano, filosofeggiano, mettendo a repentaglio la salute e l’incolumità di tutti.

 

Sfogliando le pagine di storia locale, ho raccolto le testimonianze di come gli agropolesi si difesero dal Colera, che colpì Agropoli il 16 ottobre 1866.

All’epoca, nel nostro piccolo Comune abitavano 1941 persone, di cui 1280  risiedevano nell’attuale Borgo Antico, mentre il restante della popolazione viveva nelle campagne. Per cui, all’interno delle mura dell’antica Akropolis si svolgevano tutte le attività sociali, economiche e religiose. La vita di allora era molto semplice, spartana, ridotta alla sopravvivenza, priva di tutte le comodità che abbiamo oggi in casa. Le abitazione, tranne quelle di qualche nobile o notabile, erano costituite da una stanza, al massimo due, scarso arredamento, servizi igienici inesistenti. In queste misere mura viveva, mangiava e dormiva tutta la famiglia, a volte venivano custoditi anche gli animali da lavoro. Le condizioni igienico-sanitarie erano inesistenti, per cui il diffondersi del Colera, se non bloccato subito, avrebbe creato una vera e propria strage di vite umane.

Non era stato ancora scoperto il vaccino e gli studi sul Colera, ancora empirici, raccomandavano tra l’altro che:

(…) Le principali cause del diffondersi del male e la contagiosità del male si riconosce nei “grandi adunamenti di popolo”, come chiese, processioni, mercati e nelle pubbliche fontane (dove le lavandaie lavavano la biancheria dei colerosi diffondendo ancor più l’infezione anche ai panni dei sani)(…)“.

Con l’Unità d’Italia, in base alle nuove Leggi sulla Sanità Pubblica, l’Amministrazione Comunale di Agropoli, per combattere il Colera del 1866, nominò una Commissione Sanitaria composta dal Medico Condotto Carmine Rossi e dal Farmacista Antonio De Crescenzo, coadiuvata dal Parroco Aniello Scotti, dall’agente di Sanità Marittima Quaranta e dai Regi Carabinieri di Agropoli e di Torchiara. La Commissione Sanitaria impose agli agropolesi delle precise norme di salvaguardia pubblica quali:    restare chiusi in casa; non uscire per alcuna ragione; salubrità e pulizia delle abitazioni, degli indumenti e delle cose; chiusura delle attività commerciali; degli uffici pubblici; divieto di assembramenti.

Fu creato un cordone sanitario che si estendeva fino al fiume Testene, dov’era stato aperto un corridoio umanitario per il passaggio di derrate alimentari, medicinali, abbigliamento e coperte. Gli attracchi navali furono vietati e le navi presenti in rada, messe in quarantena. I Regi Carabinieri, oltre a controllare che le norme venissero rispettate, si fecero carico di distribuire i beni di prima necessità casa per casa. L’attenta ottemperanza di queste semplici norme di isolamento, senza l’utilizzo di vaccino, determinò dopo un mese, il 16 novembre, la scomparsa del Colera. Purtroppo morirono dai 250 ai 300 agropolesi, circa il 15% su una popolazione di 1941 persone. Il consistente numero dei morti, le tante famiglie distrutte, la grave situazione degli orfani, il commercio azzerato e le continue paure del ripresentarsi del Colera, crearono negli anni successivi una drammatica caduta socio-economica di Agropoli.

Questa testimonianza storica ci dimostra che, con il buon senso ed il rispetto della Comunità nella quale viviamo, possiamo superare la crisi sanitaria che stiamo vivendo. Successivamente, fatta la conta dei danni, ci aspetta la sfida economica, non meno difficile da combattere e superare.

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