«Così abbiamo portato a Vallo la terapia di Ascierto»

Redazione Infocilento

Le speranze del farmaco anti-coronavirus arrivano anche a Vallo della Lucania. Parliamo dell’ormai famoso Tocilizumab, il medicinale per l’artrite che secondo l’Istituto Pascale di Napoli, e soprattutto l’oncologo Paolo Ascierto, potrebbe curare i malati con polmonite da Covid-19. A renderlo possibile è stata l’intercessione della dottoressa di Agropoli Laura Pesce, responsabile del reparto di oncologia del San Luca,  operativo nell’ambito della Rete Oncologica Campana.

Dottoressa Pesce, come è nata la vostra sperimentazione?
«Quando il 17 marzo mi sono recata al lavoro, i rianimatori erano molto preoccupati per un paziente affetto da coronavirus e intubato in condizioni critiche. I colleghi della rianimazione e dell’infettivologia avevano pensato di utilizzare la terapia di Ascierto ma avevano difficoltà nell’approvvigionamento del farmaco».

Così ha pensato di intercedere.
«Nell’ambito delle mie competenze, ho offerto la mia collaborazione alla Direzione, in particolare al responsabile della Rianimazione, dottor Michele Bosco, e agli infettivologi. Come oncologa non potevo aiutarli direttamente nell’assistenza, e quindi ho pensato di offrire il mio collegamento con il Pascale, con il quale collaboro da sempre. Ho contattato il responsabile dello studio scientifico sul Tocilizumab, Francesco Perrone. Gli ho spiegato la situazione e ho trovato una grande disponibilità».

Come ha avuto il via libera all’utilizzo del farmaco?
«Insieme al dottor Bosco, ho inviato al Pascale i dati sul nostro paziente positivo al Covid e mi hanno comunicato che secondo i loro parametri potevamo procedere alla sperimentazione. In poche ore abbiamo fatto arrivare il farmaco e nel pomeriggio di martedì 17 abbiamo somministrato la prima dose, ripetendo la terapia il giorno successivo».

Che risultati avete ottenuto?
«Il paziente è migliorato lievemente, credo sia per il farmaco che per le procedure messe in atto in Terapia Intensiva. Purtroppo per ora resta in condizioni critiche perché la sua situazione era già compromessa, ma i colleghi della rianimazione, sempre in collaborazione con gli infettivologi, stanno facendo di tutto per salvarlo. La sperimentazione sul Tocilizumab è divisa in tre “baccia”: pazienti nella fase iniziale; pazienti intubati da meno di 24 ore; pazienti intubati da più di 24 ore, come nel nostro caso».

Continuerete a utilizzare il farmaco?
«Assolutamente sì. In stretta collaborazione con la responsabile del Dipartimento Farmaceutico, la dottoressa Maria Rosaria Cillo, è stata attivata la piattaforma informatica dello studio, che ha avuto il via proprio il pomeriggio del 17 marzo.  Ho ufficialmente iscritto Vallo della Lucania alla piattaforma della sperimentazione, perché questa è l’unica possibilità di avere il farmaco».

Fin da subito ha guardato con fiducia all’intuizione di Ascierto. Perché?
«Conoscevo l’utilità del farmaco per i casi di polmonite interstiziale. Nei pazienti in immunoterapia uno degli effetti collaterali è l’iper-attivazione del sistema immunitario, che avviene anche nell’infezione da coronavirus. Noi oncologi, e soprattutto il Pascale, già avevamo dimestichezza sull’uso off-label, cioè fuori dai protocolli ufficiali, di questo medicinale nella reazioni avverse gravi dell’immunoterapia. Per questo sono molto fiduciosa, non tralasciando ovviamente il percorso farmaceutico attualmente in uso contro il coronavirus, e quindi antivirali e antimalarici».

Che ne pensa della polemica di questi giorni sul metodo del Pascale?
«Non entro nel merito, voglio solo dire che per noi il dottor Ascierto è stato sempre un importante riferimento scientifico e umano. Una persona di enorme professionalità e umiltà, sempre disponibile ad ogni nostra chiamata».

Lei dirige il reparto di oncologia del San Luca. Com’è la situazione in questo periodo?
«Noi non ci siamo fermati, abbiamo cercato di tutelare al massimo i pazienti e valutare per ogni singolo caso l’opportunità o meno di posticipare le terapie. Di certo c’è molta preoccupazione per i pazienti trattati con immunoterapia, perché un’eventuale infezione potrebbe essere fatale. Per questo, quando posticipiamo lo facciamo per evitare che il malato venga in ospedale in questo momento, non certo perché non riusciamo a curarlo. Per chi invece non può ritardare: isolamento, mascherine e camere singole».

Voi operatori sanitari vi sentite sicuri?
«La mia direzione sta facendo di tutto per offrirci le misure di sicurezza adeguate. Le eventuali carenze sono dovute alla situazione di emergenza e riguardano tutto il territorio nazionale. Per ora i  miei collaboratorii sono riforniti dei materiali necessari. Le mascherine “ffp3”, le più protettive, devono essere per legge utilizzate in oncologia e sono già in dotazione durante la somministrazione del chemioterapici».

Le vostre strutture sono in grado di affrontare un eventuale peggioramento della situazione?
«Sono molto preoccupata per l’eventuale “picco” di contagi. Non tanto per le carenze strutturali e di materiali, per i quali le Direzioni Strategiche stanno elaborando dei piani d’intervento, ma soprattutto per la cronica carenza di personale. Rianimatori, infettivologi e infermieri sono già ora pochissimi e costretti a turni estenuanti. Bisogna assolutamente intervenire sul capitale umano».

Dottoressa, per il Paese è un momento difficile e inedito e la sanità italiana è in prima linea. Che suggerimenti si sente di dare alla cittadinanza?
«Di stare a casa e rispettare le regole alla lettera. Mantenere il distanziamento fra le persone è la sola vera misura per rallentare i contagi e salvare vite umane. Bisogna avere pazienza, perché solo con l’apporto di tutti riusciremo ad uscire da questa triste pagina della nostra storia e ritornare alla normalità».

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