Dottore, si tratta di allergia alimentare?

Danilo Malandrino

Durante una cena al ristorante o attraverso i racconti di amici e parenti, tutti prima o poi ci siamo imbattuti nel tema delle allergie alimentari, spesso attraverso il racconto di chi sa di esserne soggetto o, nei casi più sfortunati, leggendo dei decessi collegati all’ingestione di un alimento normalmente ritenuto innocuo. Ma sono un fenomeno così frequente?

Gli studi recenti evidenziano come negli ultimi anni la diffusione delle allergie alimentari sembri essere in costante aumento, con un importante impatto sulla salute e sulla qualità di vita di chi ne soffre. Spesso però viene attribuita erroneamente a queste patologie la responsabilità di sintomi più o meno comuni, con il rischio di intraprendere diete fai-da-te inutili e diagnosi fasulle ottenute attraverso test non validati, frequentemente proposti da personale non sanitario. È utile allora conoscere i principali sintomi delle allergie alimentari, con un cenno alle possibili terapie e alle metodiche in grado di consentirne un’accurata diagnosi.

Definizione e numeri

L’allergia alimentare viene definita come una reazione avversa di natura immunitaria (mediata da particolari anticorpi, chiamati immunoglobuline E) a specifiche proteine contenute negli alimenti in soggetti che presentano una certa predisposizione genetica. La sintomatologia, relativa alla proteina coinvolta, può variare da sintomi molto lievi fino al temuto shock anafilattico. L’allergia alimentare vera e propria colpisce circa il 4-5% della popolazione adulta e il 6-8% della popolazione pediatrica con un trend in progressivo aumento. Tale emergenza sanitaria sembra dovuta a diversi fattori connessi allo stile di vita occidentale e all’aumentata industrializzazione, tra cui il ridotto periodo di allattamento materno, la nutrizione artificiale e l’incremento dei parti cesarei.

I sintomi localizzati…

La più frequente manifestazione è la cosiddetta sindrome orale allergica che si manifesta precocemente (a distanza di minuti o poche ore dal pasto) con bruciore o prurito del cavo orale, che può essere accompagnato da gonfiore delle labbra e della lingua.

…E quelli sistemici

I più frequenti sono quelli a livello cutaneo e gastrointestinale. A livello della pelle può svilupparsi orticaria, ossia la comparsa di chiazze rilevate della pelle (detti pomfi) spesso molto pruriginose, che possono arrivare a coprire tutto il corpo, accompagnate da edema del tessuto sottocutaneo (angioedema) che può arrivare a coinvolgere le mucose (soprattutto le labbra). I disturbi del tratto gastro-enterico, invece, sono principalmente caratterizzati da dolore addominale (a tipo colica) e nausea, seguiti da vomito e diarrea. Meno frequente è il coinvolgimento dell’apparato respiratorio, con possibile comparsa di difficoltà respiratoria, di asma bronchiale o del temibile edema della glottide (rigonfiamento dei tessuti localizzati nell’area posta fra le corde vocali e la trachea). Il quadro più temibile, potenzialmente fatale in assenza di pronto intervento medico, è lo shock anafilattico. Il termine descrive una reazione sistemica a insorgenza molto veloce (solitamente entro 30 minuti dall’ingestione dell’alimento) con interessamento di più apparati (cute, apparato respiratorio, apparato gastrointestinale, apparato cardiovascolare) che può determinare rapidamente la perdita di coscienza. Sebbene tutti gli alimenti possano portare allo shock anafilattico, le manifestazioni più frequenti riguardano alimenti contenenti allergeni altamente resistenti sia alle alte temperature (e quindi alla cottura) che alla digestione gastrica, più spesso contenuti nella pesca, nella frutta secca, nei crostacei, nel pesce, nelle uova e nel latte.

Che differenza c’è tra allergie e intolleranze alimentari?

Le intolleranze alimentari a differenza delle allergie non coinvolgono meccanismi immunitari e non possono determinare shock anafilattico. Possono essere dovute alla mancanza di alcuni enzimi coinvolti nella digestione di alcuni cibi (come nel caso del lattosio) o a un’eccessiva reattività a determinate sostanze come nel caso della caffeina o della capsaicina (contenuta nel peperoncino), con disturbi prevalenti a livello dell’apparato gastro-intestinale che variano a seconda della dose ingerita. Particolare è il caso dell’intolleranza al glutine (celiachia) che pur coinvolgendo il sistema immunitario (con meccanismi differenti dalle allergie), rientra in quest’ultima categoria.

È davvero un’allergia?

Al medico spetta il compito di raccogliere un’accurata storia clinica (sempre molto utile, nel sospetto di allergia, redigere un diario alimentare), i sintomi riferiti e, tramite l’esame clinico, obiettivare eventuali segni caratteristici. Solo a questo punto verranno proposti test validati per la diagnosi di allergia alimentare. Se è vero infatti che la prevalenza di tali patologie è in continua crescita, è stato dimostrato recentemente come negli Stati Uniti due adulti su 10 fossero impropriamente convinti di essere affetti da allergie alimentari, correndo il rischio di eliminare dalla dieta cibi innocui e favorire l’insorgenza di vere e proprie carenze nutrizionali.

I test per la diagnosi. Da quali diffidare?

Considerevole il giro d’affari riguardante test per allergie non scientificamente validati (tra cui: test citotossico, Alcat test, vega-test, elettroagopuntura di Voll, biostrengt test, analisi del capello, iridologia, biorisonanza, ecc.), valutato attualmente attorno ai 3 milioni di euro.

Il test di primo livello è sicuramente lo skin prick-test che consiste nel pungere la cute a livello dell’avambraccio e, successivamente al posizionamento di alcune gocce dell’allergene sospettato (purificato), evidenziare l’eventuale comparsa di prurito, rossore o edema circoscritto della cute. Il test di secondo livello è rappresentato dal dosaggio di una particolare classe di anticorpi (le immunoglobuline E precedentemente citate) dirette verso uno specifico alimento o sue singole componenti allergeniche, chiamato in passato RAST test. Nel caso di diagnosi ancora dubbia, è possibile eseguire un test di terzo livello (TPO: test di provocazione orale) che consiste nella somministrazione di dosi crescenti dell’alimento sospettato fino al riconoscimento della minima dose scatenante sintomi: tale test deve essere sempre eseguito in ambiente protetto, sotto controllo medico, per il potenziale rischio di reazioni allergiche anche gravi.

Esistono terapie?

La dieta di eliminazione dell’alimento ritenuto responsabile è la prima terapia. È molto importante però evitare diete di esclusione autogestite in assenza di una vera diagnosi, poiché possono slatentizzare disturbi alimentari ancora non riconosciuti, avere un impatto negativo sulla qualità della vita senza che vi sia una diagnosi certa e portare a disturbi nutrizionali e dell’accrescimento (in particolare nella popolazione pediatrica). Possibile alternativa alla dieta di eliminazione è la terapia di desensibilizzazione orale che mira all’induzione della tolleranza all’alimento imputato tramite somministrazione di dosi crescenti dell’alimento per via orale o sublinguale. Riveste inoltre particolare importanza fornire al paziente presidi d’emergenza (adrenalina auto-iniettabile) in caso di reazione anafilattica e educarli all’uso degli stessi, in quanto si possono verificare (pur nel rispetto di accurata dieta di eliminazione) reazioni dovute a ingestione accidentale di alimenti contenuti in preparazioni industriali e non adeguatamente segnalati.

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