“Agropoli, ritrovate parti di una lapide funeraria del 1450 proveniente dalla chiesa del convento di San Francesco”

Ernesto Apicella

Qualche giorno fa, gli eredi del geometra Antonio Di Pasquale,  procedendo alla pulizia del giardino di loro proprietà, in occasione della fine del cantiere edile di un palazzo confinante, hanno notato l’esistenza di due pietre con iscrizioni in latino. Mi hanno contattato, per chiedere se esse avessero un interesse storico e se fosse o meno il caso di offrirle alla collettività. Dopo qualche ora, giunto sul luogo, con l’amico Ernesto Rocco, Direttore di InfoCilento, ho scattato alcune foto per cercare di decifrare le incisioni.

Analizzando le foto, su una lastra c’è inciso “…AGNIFICE MULIERIS MA SELLE…” e sull’altra “…NO D MCCCC…”.

Ho pensato che potessero essere dei reperti provenienti da una lapide funeraria, per cui ho consultato la professoressa Flaminia Arcuri, archeologa, che negli anni ’70 ha collaborato con il professore Piero Cantalupo, nel GAA (Gruppo Archeologico Agropoli). Mi ha confermato la possibilità di una lapide funeraria, successiva al periodo romano di Ercula, sito archeologico esplorato dal GAA. Quindi mi sono rivolto al professore Fernando La Greca, che mi ha indicato come probabile data di realizzazione il XV/XVI secolo (Tardo Medioevo). Per cui ho subito iniziato una ricerca sui libri storici che conservo nel mio archivio, per capire, se qualche autore avesse già menzionato la presenza di una lapide tombale, in qualche edificio storico di Agropoli. Dopo qualche ora di consultazione ho esaminato il libro: “La Leggenda di San Francesco in Agropoli” del Prof. Nicola Forlenza, pubblicato nel 1926. Descrivendo i ruderi della chiesa del convento di San Francesco d’Assisi di Agropoli, il professore Forlenza menziona sul libro, una lapide posta sul pavimento e descrive l’epigrafe su incisa:        

“HIC IACET CORPUS

MAGNIFICAE MULIERIS  MA

SELLE DE PRIGNANO

QUAE OBIIT AN(N)O D(OMINI) MCCCCL”.

(Qui giace il corpo della magnifica signora (moglie) Masella di Prignano che è morta nell’anno domini 1450).

Inoltre, rilevante per la mia ricerca, il professore Forlenza allega un disegno della lapide: di forma quadrata, con l’incisione dell’epigrafe posta sui quattro lati, in senso orario.

La presenza di questa pietra sepolcrale è stata menzionata anche in un articolo pubblicato su “Il Mattino”, il 16 ottobre 1951, a firma del professore Michele Rinella e ripubblicato sul libro: “Il castello greco-bizantino e il convento francescano di Agropoli”. Raccontando la sua visita al convento di San Francesco d’Assisi, il Rinella descrive nell’articolo una lapide presente nella chiesa, incisa con l’identico testo in latino riportato dal Forlenza.

 

Lo studio della lapide tombale è continuato grazie alla collaborazione del professore Fernando La Greca, autore di  numerosi libri storici sul nostro territorio. Il professore La Greca ha recuperato un testo del 1871, dal titolo: “Memorie storiche dell’antichissima nobiltà salernitana”, scritto da L. Staibano, che descrive la presenza di una pietra sepolcrale, nella chiesa del convento di San Francesco d’Assisi di Agropoli, dov’è incisa la stessa epigrafe riportata, negli anni successivi, dal  Forlenza e dal Rinella. La notizia è inserita nel capitolo dedicato alla nobile famiglia Prignano, proveniente da Prignano Cilento. Inoltre, lo storico Staibano documenta nel suo libro, un’altra notizia interessante. Nel 1871 era presente nella chiesa del nostro convento di San Francesco d’Assisi, un sarcofago: “Vicino alla porta al muro dove stava la tribuna, vi era un sarcofago lungo palmi 8 (metri 2,11 circa) con la seguente iscrizione…

Hic jacet corpus Angelus de Prignano dicto Coppola Castellano (de) Agropoli, qui obiit an(no) D(omi)ni MCCCCLXIII, XI ind(ictione)”. Del sarcofago di Angelus de Prignano, detto Coppola, Castellano di Agropoli, morto nel 1463, ad oggi, non si hanno notizie. Un’attenta analisi delle foto dei due reperti ritrovati, ha inoltre rilevato la presenza di un bassorilievo scolpito a mano di ottima fattura, raffigurante un cane levriero rampante con collare, che regge uno scettro con alla punta un giglio.

Lo stemma della famiglia Prignano, da cui proverrebbe la nobildonna Masella, secondo il manoscritto Pinto, che raccoglie notizie sulle famiglie nobili salernitane del XVIII e XIX secolo, riporta in campo rosso, un cane levriero rampante d’argento, collarinato di verde, che mantiene di traverso uno scettro dorato con all’estremità un giglio. Quindi, a questo punto, si può ritenere che i due reperti appartengano alla lapide funeraria della nobildonna Masella de Prignano sepolta nel 1450 ad Agropoli, nella chiesa del convento di San Francesco d’Assisi. (La nobile famiglia Prignano e la sua presenza ad Agropoli, è trattata ed approfondita nella seconda parte dell’articolo, dal professore Fernando La Greca).

 

Ho informato la Polizia Municipale di Agropoli, nella persona del Comandante Carmine De Biasi, che provvederà al prelievo e al trasporto dei due reperti nella chiesa di San Francesco d’Assisi. Nel contempo, gli eredi del geometra Antonio Di Pasquale, proprietario del giardino dov’erano depositate le due parti della lapide, si sono resi disponibili affinché i reperti ritornino nella chiesa di San Francesco d’Assisi. Ho interpellato il Parroco Don Carlo Pisani, che con entusiasmo ha appreso la notizia del ritrovamento. Si è dichiarato disponibile per una ricollocazione dell’antica lapide su una parete della chiesa. Per cui con il ritrovamento, lo studio e, nei prossimi giorni, la messa in sicurezza di questa lapide tombale del 1450, abbiamo ricostruito, grazie ad un ottimo lavoro di squadra, un altro piccolo tassello della storia di Agropoli.

Ernesto Apicella.

La nobile famiglia Prignano, presente ad Agropoli nel XV secolo

di Fernando La Greca

Grazie all’encomiabile e costante attività dell’amico Ernesto Apicella per il recupero e la divulgazione della storia e della cultura di Agropoli, è stata scoperta in un giardino di Agropoli una importante lapide sepolcrale del 1450, con iscrizione, relativa ad una nobildonna, Masella de Prignano, sepolta nella Chiesa dei Padri Conventuali di San Francesco in Agropoli. Si tratta di due grossi frammenti, che però comprendono buona parte del rilievo scolpito e dell’iscrizione, e consentono di leggerla e integrarla con l’aiuto di notizie reperite in libri e manoscritti.

In un primo tempo ci si è rivolti, per identificare l’iscrizione, a due pubblicazioni divulgative, di Nicola Forlenza (La Leggenda di San Francesco in Agropoli, 1926, p. 25), e di Michele Rinella (Il castello greco-bizantino e il convento francescano di Agropoli, La Prora, Milano, 1953, pp. 39-40). Per quanto imprecisi, questi due autori riportano la notizia della lapide e un suo disegno approssimativo (nel Forlenza, dove però il cane diventa una pecora), con l’informazione che era stata vista nelle rovine della Chiesa dei Padri Conventuali di San Francesco in Agropoli.
A questo punto però l’iscrizione ci dà due elementi sicuri: la famiglia della nobildonna, Prignano, e lo stemma della famiglia stessa, un levriero con scettro sormontato da un giglio. Diventa allora necessario avere qualche notizia sulla storia di questa famiglia e sulla sua connessione con Agropoli.
Esiste un solo studio specifico con informazioni sulla famiglia Prignani o Prignano, alla quale fa riferimento l’iscrizione, di Gaetano D’Ajello (Notizie storico-genealogiche su una famiglia nobile salernitana: i Prignano, in “Bollettino Storico di Salerno e Principato Citra”, IX, 1, 1991, pp. 51-58), e a questo studio noi possiamo ricorrere. Sono informazioni tratte da diversi manoscritti del Settecento e dell’Ottocento (Del Pezzo, Pinto, Staibano) che si occupano delle famiglie nobili salernitane; in casa D’Ajello poi vi è una copia del manoscritto Pinto.
Secondo una tradizione tramandatasi negli scrittori di araldica e di storia delle famiglie illustri, la famiglia Prignano (con le varianti Prignana / Prignani) proveniva da Firenze, e giunse nel Salernitano nel XIV secolo sotto gli Angioini, ricevendo il suo cognome dal possesso del feudo di Prignano. Poi furono signori anche dei casali di Apolisi/Puglisi (nei pressi di Prignano), di Vatolla e di Pagliara/Palearia (tra Vatolla nel Camella). All’epoca la famiglia Prignano doveva risiedere nel Cilento, perché solo nel 1549 i discendenti si trasferirono effettivamente a Salerno.
Da questa famiglia nacquero molti cavalieri, al servizio dei Re di Napoli, e anche un pontefice, papa Urbano VI (Bartolomeo Prignano). Lo stemma di questa famiglia riporta, in campo rosso, un levriero d’argento che tiene da traverso uno scettro dorato con alla sommità un giglio. Qui di seguito riportiamo lo stemma riprodotto nella copia del manoscritto Pinto conservata presso la famiglia D’Ajello.

 

Come si vede, questo stemma è esattamente quello scolpito sulla lapide di San Francesco di Agropoli; anzi quello sulla lapide, essendo un originale dell’epoca, ci consente di apprezzare bene alcuni elementi come il giglio, e la posizione “rampante” dell’animale, che va all’attacco con bocca aperta, denti aguzzi e orecchie all’indietro.
Una famiglia con vocazione militare dunque, al servizio dei re Angioini, e da una loro onorificenza, piuttosto che dall’origine fiorentina, potrebbe derivare il giglio su scettro dello stemma.
A questo punto, resta da spiegare la connessione con Agropoli.
E in realtà l’iscrizione esistente nella Chiesa di San Francesco era già nota nell’Ottocento, anzi le iscrizioni note erano due. Il manoscritto Staibano riporta e trascrive infatti ben due iscrizioni della famiglia Prignano esistenti nella Chiesa dei Padri Conventuali di San Francesco.

La seconda iscrizione, quella ritrovata, si trovava su una lastra tombale posta “a terra”, quindi sul pavimento: Hic jacet corpus magnificae mulieris Maselle de Prignano quae obiit an(no) D(omi)ni MCCCCL.

Diventa importante a questo punto la prima iscrizione, per capire perché i Prignano si trovavano ad Agropoli. La prima iscrizione era scolpita su sarcofago, anche ad indicare la rilevanza e l’alta carica del personaggio ivi sepolto. Dice infatti il manoscritto: “Vicino alla porta al muro dove stava la tribuna, vi era un sarcofago lungo palmi 8 con la seguente iscrizione:

Hic jacet corpus Angelus de Prignano dicto Coppola Castellano (de) Agropoli, qui obiit an(no) D(omi)ni MCCCCLXIII, XI ind(ictione)”.

Dunque, un Angelo Prignano è Castellano di Agropoli fino al 1463, anno della sua morte. La sepoltura di Masella Prignano nella stessa Chiesa nel 1450 ci fa supporre che già prima di quella data Angelo Prignano doveva essere Castellano di Agropoli, ed è probabile che abbia esercitato questa carica per lungo tempo, almeno 15 anni, forse di più.
Chi era Masella? Non sappiamo. Ma doveva appartenere in qualche modo alla famiglia di Angelo Prignano, ed essere legata ai frati francescani, nella cui chiesa fu seppellita nel 1450, e dove 13 anni dopo fu seppellito anche Angelo, il Castellano. Del resto, le famiglie nobili allora spesso si legavano con consistenti donazioni ad enti religiosi, per assicurarsi una onorevole sepoltura.
Ma chi erano i Castellani? La carica di Castellano, nel periodo angioino-aragonese, veniva concessa dal Re ad una persona di sua fiducia, un miles, un capitano di guerra, o uno scutifer, un guardiano, che diventava responsabile di una fortezza, delle armi ivi custodite, delle strutture annesse (soprattutto le prigioni), dei viveri e dei soldati di guarnigione; non era una carica feudale ma militare in stretta dipendenza dal Re. Il Castellano aveva anche facoltà di inquisire gli abitanti e di imprigionarli per reati vari. Per motivi di guerra, sicurezza o altro, un castello poteva essere tolto temporaneamente al suo feudatario, passando alla Regia Curia sotto il comando di un Castellano di nomina regia. Pertanto troviamo Castellani ad Agropoli anche in precedenti periodi storici. Nel 1290, al tempo della guerra del Vespro, il Re Carlo II d’Angiò prega il vescovo di Capaccio Goberto, feudatario di Agropoli, di cedere il castello di Agropoli alla Regia Curia per tutta la durata della guerra, onde assicurarne una migliore difesa; successivamente lo affida di volta in volta a Castellani di sua fiducia (AA.VV., Agropoli. Profilo Storico, 2008, pp. 180-181).
Nel 1436 il Re Alfonso d’Aragona aveva concesso a Giovanni Sanseverino il feudo di Agropoli (i Sanseverino lo tennero fino al 1552). Ma già qualche anno dopo la dubbia fedeltà dei Sanseverino fece sì che alcuni loro beni fossero sottoposti all’amministrazione Regia, e fra questi, probabilmente, il castello di Agropoli. Nel 1463 il feudo di Agropoli era in possesso del figlio di Giovanni, Roberto Sanseverino, principe di Salerno, ma il castello, ci dice la prima iscrizione, sicuramente fino a quella data era custodito da un Castellano di nomina Regia, della famiglia Prignano, e precisamente da Angelo Prignano detto Coppola. Di lui però non si parla in nessun altro documento; può darsi che ricerche future ci diano ulteriori informazioni, ma intanto questo è un tassello importante. Il periodo aragonese è particolare nella storia del Regno di Napoli. I sovrani, volendo modernizzare il Regno, snellire l’apparato feudale, crearsi un potere effettivo, presero molte iniziative in contrasto con la feudalità, e fra queste vi fu certamente quella di requisire i castelli di interesse strategico, facendoli passare direttamente sotto le direttive della Regia Curia. Questa ed altre iniziative diedero luogo, dal 1459 al 1464, alla prima rivolta dei baroni contro il Re Ferrante, una vera e propria guerra civile all’interno del Regno. Nel 1485 vi fu una seconda rivolta.
Se a queste iscrizioni dei Prignano, tramandate nei manoscritti, non è stato finora dato peso, il ritrovamento effettivo della seconda, di Masella Prignano, ci dà conferma anche della prima, e ripropone un rinnovato studio su Agropoli aragonese, che conosciamo pochissimo. Sono iscrizioni importanti, che ci attestano la rilevanza della famiglia Prignano ad Agropoli, non perché loro feudo, ma per incarico regio. Nello stesso tempo, doveva esservi qualche contrasto con gli effettivi feudatari, i Sanseverino. A partire dal 1485 il castello di Agropoli fu oggetto di imponenti lavori di ristrutturazione, a spese dei sovrani Aragonesi, in perenne conflitto con i baroni; i lavori continuarono sino alla fine del Quattrocento, e diedero alla fortezza l’aspetto che oggi conosciamo.

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