I piccoli comuni non saranno più obbligati ad accorparsi

Comunicato Stampa

L’obbligo di accorpamento dei piccoli Comuni è incostituzionale. Lo ha sancito la Consulta a seguito del ricorso promosso da ASMEL, l’Associazione che raggruppa oltre 2700 Enti in tutt’Italia. La norma, varata con il decreto legge 78 del maggio 2010, imponeva ai Comuni sotto i 5000 abitanti di accorparsi in Unioni di Comuni, Enti di secondo livello previsti in normativa per la gestione associata di servizi o funzioni. Il Governo rese obbligatorio il ricorso alle Unioni, indicando in 10mila il numero minimo di abitanti da coinvolgere. Ed elencando le competenze da accorpare, praticamente tutte, da passare in capo a Enti senza elezione diretta.
Si determinò una insanabile frattura nel mondo dei Comuni. Da una parte, ANCI, la principale Associazione, ideatrice e sostenitrice della norma, che si spinse a propugnare l’azzeramento degli Enti con meno di 15mila abitanti, il 90% dei Comuni italiani.

Dall’altra, ANPCI, la combattiva Associazione dei piccoli Comuni e buona parte degli stessi Soci ANCI, anche medi. Molti dei quali si erano da tempo attrezzati con la gestione associata “in rete” dei servizi, ritenuta molto più efficiente e vantaggiosa di quella delle funzioni.
ANPCI coinvolse le realtà impegnate nella messa in rete dei servizi, e cinque giorni prima del varo della norma, fu costituita, a Gallarate (VA), ASMEL, l’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali. Che è riuscita finora a mettere i bastoni tra le ruote al decreto, con denunce ed analisi puntuali su una “norma concepita e scritta da chi nemmeno conosce le realtà territoriali”. ASMEL, ha poi, a sua volta, dato vita alla prima e tuttora unica Centrale di Committenza di rilievo nazionale, che lavora in rete con 1461 Comuni di ogni dimensione demografica.
Il ricorso alla Corte Costituzionale, ha richiesto tempi lunghi, perché ASMEL ha dovuto attendere un atto amministrativo in attuazione di una norma ritenuta incostituzionale ed impugnarlo avanti al TAR con richiesta di sottoporre le proprie ragioni alla Corte. ASMEL ha atteso fino a Gennaio 2015, quando il Ministro Alfano, con Circolare n. 323, invitò i Prefetti al Commissariamento, previa diffida, dei Comuni inadempienti, praticamente tutti.

L’Associazione inviò, a sua volta, una diffida a tutti i Prefetti, invitandoli a desistere per il rischio di causare danni erariali con “migliaia di Commissari, destinati a tornare indietro a mani vuote, a causa di una norma inapplicabile”. La diffida ebbe successo, ma Alfano non annullò la Circolare 323, offrendo il destro ad ASMEL per il ricorso al TAR Lazio, che accolse la richiesta ASMEL ed inviò gli atti alla Consulta perché si esprimesse sulla legittimità costituzionale della legge.
“La Sentenza della Corte rappresenta una sconfitta bruciante per tutte le forze politiche – sostiene Francesco Pinto, Segretario generale dell’Associazione – perché tutte, nessuna esclusa, avevano sostenuto una norma insensata, prima ancora che incostituzionale. Lasciandosi guidare per mano da apparati romani, con ANCI in prima linea, sostenitori di mirabolanti risparmi da presunte economie di scala. A dimostrazione dello strapotere di burocrati e mandarini che tengono sotto scacco gli eletti dal popolo. Oggi, il 75% delle norme è varato attraverso decreti legge e decreti delegati. In pratica, i politici si accapigliano su valori e principi più o meno alti, ma la stesura delle norme, resta in gran parte appannaggio di apparati potenti e autoreferenti. Con quali risultati, è sotto gli occhi di tutti. Occorre che gli eletti prendano coscienza della forza di una casta capitale, responsabile di quel groviglio inestricabile di norme, che noi bolliamo come bigottismo normativo e che alimenta corruzione e disaffezione verso le Istituzioni e rappresenta il vero tappo che blocca la crescita”.

“I Comuni – incalza Giovanni Caggiano, Presidente ASMEL – sono chiamati principalmente ad erogare servizi ai cittadini. Possibilmente, in forma efficace ed efficiente. Quelli che ci riescono meglio e a costi minori sono proprio i piccoli e medi Comuni, da assimilare alle piccole e medie imprese, che nessuno si sognerebbe di obbligare all’accorpamento. Al contrario, va salvaguardata la loro autonomia, attraverso la messa in rete, come facciamo da sempre, promuovendone la modernizzazione attraverso digitalizzazione, cooperazione e formazione. A dispetto di apparati centrali che considerano i Comuni propri vassalli”.
“A proposito di apparati centrali – conclude Pinto – ANCI è riuscita a farsi avallare da ANAC la bislacca tesi del proprio inserimento tra le pubbliche amministrazioni. Occorre ora che la politica batta un colpo, costringendola a scegliere. O è un’Istituzione, oppure è un’Associazione. Nel primo caso, si faccia pagare dal Governo. Nel secondo, dagli associati. Oggi fa le due cose insieme”.

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