La proposta: “Recuperiamo gli organi storici del Cilento”

Ernesto Rocco

«Un piano decennale di manutenzione degli organi funzionanti e del restauro degli altri per una cifra che si aggirerebbe attorno ai due milioni e mezzo (e per quelli ecclesiastici la CEI contribuisce con il 50%)». Questa la proposta che arriva da Giuseppe Di Vietri, presidente dell’Associazione Genius Loci. L’iniziativa, oltre al recupero di strumenti di grande valore storico-culturale, potrebbe avere anche importanti risvolti per il turismo.

«Il Cilento è pieno di organi storici, in ogni paese bene o male ce n’è uno. Non molti i funzionanti. Molti prodotti da fabbriche organare locali – spiega Di Vietri – Da Pisciotta a Novi Velia, da Celle di Bulgheria a Laurito, da San Mauro la Bruca a Scario, siamo pieni di organi storici e in molti paesi ce n’è più d’uno: Laurino ne ha addirittura quattro, Salento, Gioi, Pollica, Ceraso e Valle dell’Angelo due ciascuno e, nel solo Comune di Vallo della Lucania, si contano ben sette organi storici».

«Stiamo parlando di un patrimonio diffuso tra i 50 e i 60 organi storici su tutto il territorio cilentano, una cosa pazzesca», evidenzia il presidente Di Vietri, secondo cui questo patrimonio può essere «un asso nella manica per il territorio su cui doverci soffermare con più attenzione perché davvero costituiscono una risorsa attraverso cui generare valore».

Il recupero degli organi, infatti, permetterebbe anche di potenziare l’offerta del turismo culturale, un settore sul quale il Cilento può investire, parallelamente a quello balneare. «Secondo Impresa Cultura, report annuale di Federculture, il turista culturale spende mediamente 131 euro al giorno a fronte degli 89 del turista balneare», ricorda Di Vietri.

Restaurare gli organi, quindi, significherebbe «porre un argomento concreto per la chimerica destagionalizzione facendo leva su una eccellenza locale per attrarre più turisti, in diversi periodi dell’anno e con una maggiore capacità di spesa», spiega ancora il presidente dell’associazione che spera di smuovere le istituzioni del territorio con un monito però: «Nel restauro degli organi ci sono due rischi, uno attuale e uno futuro. Il primo riguarda la scelta dei restauratori perché già molti strumenti sono stati purtroppo “restaurati” con metodi non idonei che ne hanno compromesso irrimediabilmente il pregio; pur suonando, tali organi sono stati rovinati nella loro autenticità, nella loro qualità sonora, nella loro storicità, nel loro valore e nella loro utilizzabilità (perché un’incisione discografica lì non la puoi più fare). L’altro rischio è successivo al restauro e riguarda l’uso costante di questi strumenti. Diversi infatti gli organi restaurati e poi suonati sporadicamente rendendo necessari altri interventi di restauri: ciò un po’ per eccessiva premura nei confronti di un oggetto appena restaurato e un po’ per disinteresse».

«Ebbene gli organi, prima dei concerti e dei festival, devono tornare a suonare soprattutto durante le liturgie, anche facendoli suonare a giovani poco esperti. Se facciamo confrontare i nostri giovani con le cose preziose del nostro territorio li valorizziamo entrambi e investiamo sul futuro. Poi si possono fare tante altre cose, ma la liturgia è ciò che fa vivere l’organo, lo promuove ed è la prima forma di manutenzione», conclude Di Vietri.

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