Alla scoperta del borgo di San Severino di Centola

Antonella Agresti
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Oggi ci inoltriamo in uno dei borghi più suggestivi del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, quello di San Severino di Centola. Inerpicarsi tra le antiche rovine costerà un po’ di fatica, ma – arrivati in cima – la vista mozzafiato ripagherà lo sforzo.

Il borgo medievale di San Severino è abbarbicato su uno sperone roccioso a ridosso del fiume Mingardo e si affaccia su quella che è conosciuta come Gola del Diavolo. Oggi, oltre ai ruderi delle abitazioni e della chiesa della Madonna degli Angeli (e del suo campanile), rimangono quelli altrettanto affascinanti di un castello.

A causa della mancanza di una cartografia storica dell’area e del prolungato periodo di abbandono e degrado in cui il luogo ha versato, è stato impossibile ricostruire con esattezza l’immagine originaria di più zone del borgo. Esso risale al X secolo sebbene alcune tracce di insediamenti pare si possano datare già al VII. Proprio al VII secolo risalirebbero, infatti, i ruderi di un’antica torre di avvistamento – ancora visibili – che sarebbe stata costruita da soldati mercenari bulgari e dal loro principe Aztek giunti per controllare la gola del Mingardo quale importante via di comunicazione con Palinuro e il Golfo di Policastro.

Pare che il borgo abbia preso il nome dai Sanseverino, potente famiglia del Principato di Salerno al tempo dei Normanni, come pure durante la dominazione angioina e aragonese. Tra gli storici, però, c’è anche chi sostiene che avvenne esattamente il contrario: fu la famiglia a nominarsi così dal castello e dal Borgo Sanseverino. Quel che è certo è che il borgo fu di grandissima importanza strategica per i Longobardi prima e per i Normanni poi. Fu con questi ultimi e con gli Svevi che vennero ampliate le opere di fortificazione: Federico II stesso ordinò la costruzione della cinta muraria e della chiesa a strapiombo sulla Gola della Tragara detta anche Valle dell’Inferno.

Con l’avvento degli Aragonesi, il borgo fu abbandonato avendo perso la sua importanza strategica e nel 1552 Carlo V esiliò la famiglia Sanseverino dal Regno di Napoli. Da quel momento per il feudo cilentano cominciò un periodo di decadimento e smembramento che vide alternarsi, nei secoli a venire, diversi proprietari.Nel 1624, poi, gran parte della popolazione morì di peste e fu in questa circostanza che la chiesa – di cui oggi rimangono i ruderi – fu consacrata alla Madonna degli Angeli in quanto protettrice contro il morbo. Nel 1746 il vescovo di Vallo della Lucania esortava a realizzare lavori di ristrutturazione dell’edificio sacro, ma nulla fu possibile a causa delle condizioni di miseria che affliggevano il borgo. Il vero spopolamento di San Severino cominciò nel 1888 quando – in seguito alla costruzione della linea ferroviaria – gli abitanti cominciarono a spostarsi a valle. Nonostante ciò, alcune case rimasero abitate fino al 1977.

Oggi, dopo decenni di totale abbandono e atti vandalici, si è rianimata una sensibilità volta al recupero e alla valorizzazione dell’antico sito anche grazie all’associazione Il Borgo. La chiesa situata in cima alla rupe è stata ristrutturata come pure la piazzetta ad essa antistante. Lo spazio viene utilizzato per eventi e rappresentazioni: su tutte, quella del presepe vivente. E’ da questo punto che l’occhio gode appieno della magnifica veduta sulla Valle del Mingardo. Non converrà, allora, fermarsi a metà del percorso: arrivare fin sulla cima della rupe regalerà per qualche attimo la sensazione di perdersi tra le pieghe del tempo di cui le pietre del borgo sembrano essere immagine.

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