Il “Michelangelo” di Vittorio Sgarbi: un atto d’amore verso l’infinito dell’ arte

Barbara Maurano

Ieri sera, al De Filippo di Agropoli, Vittorio Sgarbi ha tenuto un’ intensa lectio magistralis

Ieri sera, al “De Filippo” di Agropoli, è andato in scena un dialogo intenso con l’ arte. A colloquiare con le opere di Michelangelo Buonarroti è stato Vittorio Sgarbi. In uno spettacolo di più di due ore, “Michelangelo” ha preso forma ed è  entrato in sala, tra un pubblico molto attento, grazie a una lectio magistralis che collega le opere di Michelangelo a un percorso umano, prima che artistico.

In “Michelangelo” Sgarbi, accompagnato dalle musiche di Valentino Corvino e dalle proiezioni di Tommaso Arosio, affronta  temi cardine,  primo fra tutti il dolore. La Pietà di Michelangelo ne è privo perché l’artista ne scopre un aspetto nuovo, una visione molto dantesca del rapporto tra la madre, il figlio morente e Dio. Michelangelo immortala la visione divina della morte del Cristo, la celebrazione di un atto volto alla Resurrezione. Ma il  mancato dolore nell’ opera di Michelangelo segna uno spartiacque con la tradizione successiva. Nella più recente  Pietà di Jan Fabre, ad esempio, il figlio morente è raffigurato come un povero Cristo e la madre ha le sembianze di uno scheletro. Cambia il senso del dolore e della vita, ma non cambia il riferimento alla Pietà e all’ opera di Michelangelo come faro dell’ arte. La centralità delle opere Rinascimentali è viva e tangibile nel Davide. Una scultura che segna l’inizio di un secolo, il Cinquecento. Interessante il confronto che Sgarbi fa tra l’inizio del 500 e il 2001. Nel 500 al centro c’era l’uomo, lo sguardo fiero di Davide che sta per uccidere Golia. Un’ immagine di rinascita, di esaltazione dell’ uomo e dell’ arte che riesce a rappresentarlo. Nel 2001 crollano le torri gemelle, la distruzione e la disperazione diventano i simulacri del Nuovo Millennio. Parallelismi che Sgarbi utilizza per risaltare ancor di più la potenza dell’ arte e delle immagini. Michelangelo è l’ esponente maggiore di un’ epoca di Rinascita, di riconquista, di ritorno al mondo classico. Le opere, le immagini sono la testimonianza di ciò che è cambiato. Accade anche con La scuola di Atene di Raffaello messa a confronto con l’immagine  di un’imminente esecuzione di militari siriani da parte di miliziani dell’Isis davanti al sito archeologico di Palmira. Così l’ arte diventa materia viva che lancia un messaggio molto più forte di quel che crediamo.

Quando Michelangelo Buonarroti arriva al Tondo Doni, al Giudizio Universale, a una pittura che è anche scultura, lo spettatore è già entrato nel meccanismo dello spettacolo e dell’ arte. Una lingua che supera i secoli, che crea un alfabeto di forme e colori, scelti dagli artisti a seconda del tempo e delle opere. È il caso di Caravaggio che, nella sua concezione dell’ arte come rappresentazione della vita reale, riutilizza l’ alfabeto di Michelangelo, rimodellandone e ricontestualizzandone le forme. Nulla è lasciato al caso nello spettacolo di Sgarbi, il suo colloquio con le opere di Michelangelo si  conclude con la Pietà di Rondanini, l’ ultima Pietà, dove la tecnica del non finito è l’ arte del non detto. Tutto ebbe inizio con una Pietà ben scolpita nella pietra, tutto ha termine con una Pietà che sembra voler uscire dalla pietra per tendere a Dio, pregando che non finisca tutto qui. La Pietà di Rondanini è una richiesta verso la vita e verso quel senso di infinito che solo l’arte può donare. Lo spettacolo di Vittorio Sgarbi è un atto d’amore verso l’ arte, nella speranza che la sua divulgazione mantenga in vita quel senso di infinito e continui ad essere più forte delle immagini di distruzione e morte.

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