La tradizione del Carnevale nel Cilento: Il Tempo, la Storia, I Giochi

Emma Mutalipassi

Un evento tra mitologia e religione

Il Carnevale nel Cilento è legato ad antiche tradizioni contadine e cattoliche un misto tra mitologia e religione. Insieme a “La Cannelòra” e “la Quarajésema” sono ricorrenze legate specificamente all’anno liturgico cattolico, che nella cultura contadina sono state inserite nel ciclo dell’anno meteorologico. La prima cade il ventunesimo giorno dopo l’inizio del Carnevale, cioè il 2 febbraio, mentre l’altra il giorno seguente il martedì grasso, quaranta giorni prima di Pasqua. E’ credenza popolare che se il giorno della Candelora è cattivo tempo, lo sarà anche per i quaranta giorni successivi, come viene cantato in queste strofette che divengono anche occasione per l’usuale ironia verso le vecchie e i preti:  Quanno è `a Cannelòra O néveca o chiòve Chiòve o ména viénto Quaranta juorni re maletiémpo.

La Quaresima, nella cultura popolare, viene personificata e, come maschera, fa parte del corteo carnevalesco. Essa è la vedova di Carnevale di cui piange la morte; è magrissima, acciaccata, vecchia, vestita di nero, regge con la destra il fuso e con la sinistra la cunócchia (rocca) in atto di filare della lana. Essendo una maschera funebre, connessa alla morte dell’anno vecchio (Carnevale), potrebbe rappresentare il residuo del mito delle Parche della mitologia greca, delle quali conserva il filare, come simbolo dell’inesauribile crescere e scorrere della vita destinata alla morte, che segue sempre i capricci del Destino .Resiste ancora in alcuni paesi la simpatica usanza di fa’ la Quarajésema, cioè di costruire una bambola di stoffa dalle sembianze di vecchia ed appenderla ad una finestra, subito dopo che si è sciolto il corteo di Carnevale.

Ha le stesse caratteristiche della maschera e in più le viene attaccata sul posteriore un’arancia, sulla quale sono infilzate sette penne di gallina, queste vengono poi tolte una per ogni venerdì e bruciate. Infine il Venerdì Santo viene bruciata la Quarajésema con l’ultima penna e l’arancia. Tutti simboli legati alla vita, alla scansione del tempo con riferimenti mitologici  connessi con i simboli della Morte che sembra aver preso momentaneamente il sopravvento sulla Vita. Ecco come la Quaresima è cantata in queste strofe, nelle quali emergono i caratteri che la fantasia popolare attribuisce alla maschera: Quarajésema cuossi-stòrta

Ja girànno pe into l’òrta

Se jettào pe nu muro

E se ruppètte l’uósso ru culo

Quarajésema cuossi-stòrta

Ja arrubbànno menèstra a l’òrta

La `nguntrào Carnulevàro

E `a pigliào cu nu palo

Quarajésema cuossi-stòrta

A lu spitàle se ne jètte

E ncapo re quaranta juórni

Accussì dda’ fernètte.

Come i simboli delle maschere legate alle date delle feste della tradizione contadina anche i giochi della tradizione del Carnevale cilentano  erano strettamente legati ad essa: “U Strùmmulo”, la trottola di legno, praticato durante Natale e a Carnevale. Consisteva nel colpire la trottola avversaria senza che la propria smettesse di ruotare. “U Casecavàddo”, il caciocavallo, praticato durante la Quaresima. Bisognava dividersi in due squadre e lanciare a turno un caciocavallo, vero o di legno, e poi si sommavano i vari lanci. I lanci venivano eseguiti su una strada in terra battuta e i caciocavalli reggevano l’impatto con il terreno; spesso però, il caciocavallo si sbriciolava ed era diritto degli spettatori raccoglierne i pezzi e mangiarli. Per ovviare a questo inconveniente si costruirono dei caciocavalli di legno. La meta era l’ultima casa del villaggio e il premio sarebbe stato lo stesso caciocavallo. Giochi ormai in disuso, con un carico valore simbolico e specchio della natura della tradizione cilentana.

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