Uno straordinario Massimo Dapporto al De Filippo di Agropoli

Barbara Maurano

Ieri sera “Un borghese piccolo piccolo” ha incantato il De Filippo di Agropoli

L’impresa era ardua: portare a teatro un personaggio letterario noto al grande pubblico grazie all’interpretazione cinematografica di Alberto Sordi. Ieri sera, però, al “De Filippo” di Agropoli, Giovanni Vivaldi, protagonista di “Un borghese piccolo piccolo”, celebre romanzo di Vincenzo Cerami adattato al palcoscenico da Fabrizio Coniglio,  è entrato di diritto a teatro, impersonato da uno straordinario Massimo Dapporto che, con eleganza e maestria, ha condotto il pubblico all’interno di una storia delicata, umanamente drammatica e ricca di sfumature.

La scenografia di Gaspare De Pasquali, divisa in tre ambienti, fa subito entrare lo spettatore nella quotidianità della famiglia Vivaldi, nella vita privata di Giovanni, impiegato al ministero, padre di Mario (Matteo Francomano) e marito di Amalia (la bravissima Susanna Marcomeni). Un nucleo familiare semplice che sembra abbia bisogno di poco spazio per vivere: una casa al mare, l’abitazione di città e un ufficio. E così in scena l’occhio dello spettatore si immerge nella vicenda, seguendo un sapiente ed efficace gioco di luci che riesce ad illuminare la scena principale mettendo in risalto le ombre, la vera chiave di lettura dello spettacolo. La luce, il buio, la vita e la morte sono i temi di una pièce abilmente studiata e costruita per far immedesimare lo spettatore nelle figura di Giovanni Vivaldi. E Massimo Dapporto ci riesce magistralmente, indagando nelle ombre di questo personaggio che non esita a iscriversi alla massoneria per assicurare la vittoria di Mario ad un concorso pubblico. Giovanni si reca dal capoufficio Spaziani (l’ottimo Roberto D’Alessandro) con la speranza di garantire un futuro a suo figlio.

In Spaziani c’è tutta l’oscurità della vita borghese che nella massoneria cerca la luce. Quella luce che Giovanni rincorre e si sforza di trovare in tutti i modi. E ci riuscirà. Lui, il più piccolo dei borghesi, scende a patti con la massoneria e sta per godere della luce quando l’oscurità della vita fa ingresso nella sua esistenza. Il giorno del concorso Mario muore tra le sue braccia, ferito da un colpo di pistola. Amalia, a casa, apprende la notizia alla TV e viene colta da un ictus. Giovanni è in scena, solo, con la luce che accompagna il suo dolore, i suoi monologhi e le ultime azioni dettate dalla rabbia. Persino la rabbia rispecchia la vita semplice e metodica di impiegato. Individuato l’assassino di Mario (Federico Rubino), Giovanni si fa giustizia da solo, condannandolo ad una morte lenta nella casa al mare in cui trascorreva il suo tempo libero con Mario.

La vita è un ciclo, il destino è beffardo e il teatro è arte quando riesce a portare in scena spettacoli come questo in cui tutto è al punto giusto, ogni personaggio è al suo posto, gli attori sono calati nelle loro parti, la musica del premio Oscar Nicola Piovani è semplice ed essenziale e  il disegno di luci di Valerio Peroni è lì a suggellare le immagini e a condurre lo spettatore in un viaggio che difficilmente si potrà dimenticare. Quando, nel toccante monologo finale, Giovanni Vivaldi, ormai solo sulla scena, ripete ossessivamente il numero degli anni tutti uguali che ancora gli restano da vivere, è visibile tutto il suo dolore ma anche tutta la veridicità e l’emozione che solo uno spettacolo dal vivo può ancora donare in questa vita sempre uguale.

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