“Vallo della Lucania, capitale di provincialismo culturale”

Giuseppe Di Vietri

Per chi è vallese e si occupa o s’interessa di cultura guardarsi attorno è sempre frustrante e doloroso. O meglio, è stimolante guardare fuori ma poi è doloroso guardare all’interno di Vallo perché il confronto è purtroppo assolutamente impietoso. Naturalmente il confronto non lo si fa guardando Miami, Berlino o Parigi ma realtà vicine come Agropoli e, soprattutto, Sapri che al momento è la capitale culturale del Cilento, una vera e propria avanguardia di produzione culturale in questo provincialismo imperante. Un’area, quella del Golfo, che è avanti a tutte le altre del Cilento non perché fa eventi moderni che attraggono e piacciono ai giovani, ma perché in un lungo percorso fatto di tanti tasselli posti da più attori è stata capace di creare un ecosistema in cui si è incubato un milieu creativo, ossia un nucleo umano, di competenze, di relazioni, di visioni attorno ad un’affinità valoriale sorprendente. E s’intende pienamente ciò (e quindi anche il perché non sono gli eventi in sé ad essere significativi) solo se si specifica cosa si intende per creatività: non il guizzo o l’intuizione artistica che porta alla creazione di qualcosa di bello ma creatività intesa come matrice e motrice di una comunità che si pone con consapevolezza verso il futuro, facendo di sé un laboratorio permanente in cui sviluppare visioni e idee di cambiamento. Creatività intesa quindi come declinazione dell’innovazione.

Poi però torni a guardare Vallo ed è tutto molto più avvilente, retrogrado, antiquato e obsoleto nelle visioni, nei metodi e negli obiettivi. Poi però torni a guardare Vallo e trovi tanta, troppa apparenza; tanta, troppa improvvisazione; tanta, troppa approssimazione; tanto, troppo dilettantismo; tanta, troppa presunzione; troppa, troppa, troppa frammentazione sociale.

Vallo è capitale del provincialismo culturale e non per colpa di questa Amministrazione (che comunque continua a foraggiarlo e ad esserne eccellente interprete) ma per responsabilità dell’intera comunità vallese che, purtroppo, alla pari dell’Amministrazione Aloia, è sempre tetragona e impermeabile a qualsiasi giudizio critico verso di sé. Si accendono tanti fuochi di paglia ma difficilmente si riesce a strutturare un confronto permanente sulle questioni strategiche di Vallo: natura, cultura, servizi, commercio, turismo.

Ma che cosa è il provincialismo? Il provincialismo viene definito dal dizionario Treccani come “mentalità, modo di fare, atteggiamento considerati tipici di chi vive o è vissuto in provincia, quindi caratterizzati da limitatezza culturale, meschinità di gusto e di giudizio. In senso più ampio, con riferimento a manifestazioni letterarie, artistiche, culturali, intellettuali, ristrettezza di interessi dovuta a scarsi contatti con centri e ambienti culturalmente più aggiornati e di respiro più universale.”

Ed è proprio di esempi di questo provincialismo che voglio parlare, di un fatto triste che si è consumato l’altra sera a Vallo durante questa manifestazione dei “100 pittori e scultori del Cilento” in cui tra qualche professionista e tanti amatori, tra panini, tarantelle e balli di gruppo, ha trovato esposizione il più importante artista vallese del Novecento, Giannino Fatigati. Forse il più importante dell’intero Cilento.

Ebbene vedere le opere di Fatigati messe così, in piazza, senza nesso o ragione, senza alcun metodo curatoriale e con una scritta a penna è assolutamente indegno. Uno spettacolo tristissimo neanche fossimo in un mercatino dell’usato. Se avessero messo anche delle rampicanti sarebbe stato tutto molto più gradevole, e non sto scherzando. Agli occhi di chi s’interessa di patrimonio culturale quel foglietto penzolante con il nome di Fatigati ha lo stesso senso che assume l’Inri sulla croce agli occhi di un credente: il quadro di una dolorosa esposizione.

Poi parliamo di valorizzazione, facciamo convegni, altisonanti presentazioni, attingiamo a risorse e parliamo di identità culturale. Ci riempiamo la bocca di tante belle parole ma poi all’atto pratico dimostriamo una disarmante e profonda approssimazione, espressione degli stereotipi dell’italico meridione che inconsapevolmente ma colpevolmente continuiamo a consolidare (come se la misura non ne fosse già colma da tempo). Bastava ad esempio che l’organizzazione di questa manifestazione si fosse un minimo documentata sull’artista per scoprire, ad esempio, che quest’anno ricorre il ventennale della scomparsa di Giannino Fatigati e quindi pensare ad un allestimento più appropriato che lo valorizzasse e lo evidenziasse rispetto alla massa, esponendolo su dei pannelli uniformi e non su un grigliato da giardino, aggiungendoci dei pannelli con qualche indicazione biografica o qualche sua poesia o foto, contattando altri proprietari per arricchire il tutto. Macché, buttato lì senza cura a delizia del passeggio.

Personalmente trovo già inconcepibile che Fatigati sia stato posto all’interno di questa festa di paese, ma una volta effettuata tale scelta credo ci si sarebbe dovuti un attimino porre con una maggiore cognizione di causa verso Fatigati, la punta di diamante dell’arte vallese del Novecento. Purtroppo così non è stato perché questa è una manifestazione improntata al tronfio trionfalismo della quantità e non su una consapevole valorizzazione della qualità. In una parola, provincialismo. A pennello purtroppo qui calzano le parole di Philippe Daverio che ebbe a dire dell’atteggiamento provinciale che punta a coinvolgere e a generare meraviglia ostentando quantità.

Si denota come, in definitiva, lo scopo della manifestazione non fosse culturale, come non vi fosse alla base un disegno di valorizzazione consapevole delle risorse in campo. Evidentemente lo scopo era quello della buona riuscita della serata globalmente intesa quale intrattenimento da calendario estivo, un intrattenimento che ha sì dei contenuti culturali ma che poco o nulla ha a che vedere con la promozione della cultura e con la valorizzazione delle risorse culturali.

Giannino Fatigati avrebbe meritato un trattamento diverso, non solo e non tanto per una questione di rispetto verso un Illustre vallese, ma perché le tracce del suo lavoro costituiscono una risorsa endogena del territorio su cui poter sviluppare senso di comunità ed economia.

Nelle proposte per i lavori di riqualificazione di Piazza Cattedrale che avanzai tempo fa anche attraverso le pagine di Infocilento, oltre quella di inserire nel disegno della nuova pavimentazione tracce del perimetro del vecchio duomo vallese demolito nel ‘700, c’era una proposta – già avanzata da altri – di realizzare un parco letterario dedicato a Fatigati, lì nel cuore del centro storico dove aveva vissuto e operato. Niente di tutto ciò. Ma si può sempre fare, così come si può rimediare alla sciagurata esposizione dell’altra sera organizzando una retrospettiva o un’antologica su Giannino Fatigati per il ventennale della scomparsa invitando i possessori delle sue opere a concederli per l’occasione. Non sarebbe affatto male una mostra su Fatigati che sviluppi varie tematiche esponendo opere – siano esse quadri, disegni, componimenti poetici e canzoni – ma anche documenti ed oggetti. Ad esempio sviluppare la tematica del sacro nel Museo Diocesano, quella femminile nel Maf, in pieno centro storico, e ancora quella civile  nel Palazzo della Cultura o nel Chiostro a Santa Caterina. Ristampare la pubblicazione di Augusto e Dante Lenza su Fatigati e magari implementarla in questa nuova edizione. Anzi, approfitto per lodare pubblicamente Augusto, custode autentico della memoria umana e artistica di Fatigati.

Sono tante le cose che si possono fare e mi auguro che il Comune si attivi e guidi la comunità a camminare insieme nella realizzazione di questa iniziativa e di altre di questo tipo il cui successo è un successo collettivo e i cui benefici, immediati e in prospettiva, sono benefici collettivi. Personalmente ho una quindicina di disegni di Fatigati e sono a disposizione. Sarebbe bello se anche altri facessero lo stesso e contribuire così a realizzare qualcosa di meraviglioso di cui andare fieri, innanzitutto come comunità.

Se ci si muove così allora possiamo iniziare a parlare di valorizzazione integrata delle risorse culturali, di inclusione e di sviluppo locale a base culturale, altrimenti si persevera nell’errore, come l’altro giorno in cui il più importante artista vallese del Novecento lo si è posto come divertissement di una sera d’estate.

 

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