Oggi l’inaugurazione della Fornace di Campamento. Polemiche le opposizioni

Emilio Malandrino

Il taglio del nastro previsto alle 20.30

Dopo circa quattro anni di lavori la Fornace di Campamento è pronta ad aprire i battenti. La struttura, acquisita dal comune nel 2011, è stata completamente riqualificata. Gli interventi del primo lotto, iniziati nell’ottobre 2013, hanno permesso di recuperare gran parte dell’area, riqualificando esternamente ed internamente l’antica fabbrica di laterizi. Nello specifico si è provveduto al restauro dell’edificio (canna fumaria compresa) e alla pulizia dell’intero perimetro (circa 1000mq).

I lavori del secondo lotto, per circa 350mila euro, invece, hanno garantito il completamento dell’opera e in particolare la realizzazione di tutta l’impiantistica interna, il completamento degli spazi esterni.

Il taglio del nastro è previsto per le 20.30 di oggi (2 giugno). Nell’occasione sarà intitolato lo spazio antistante la struttura al pittore Andrea Guida.

Sul caso non sono mancate polemiche. Nei giorni scorsi i consiglieri di minoranza Agostino Abate, Emilio Malandrino e Vito Rizzo, non avevano mancato di evidenziare come queste manifestazioni abbiano un mero scopo elettorale, sottolineando tra l’altro come l’opera non abbia ancora collaudo e certificato di agibilità. Concetto simile ribadito dal M5S secondo cui si consegna un’opera “senza le carte in regola”. Il Comitato Cilento Possibile, invece, ha affidato ad una lunga nota la sua visione sull’opera. 

Di seguito il testo integrale:

Come sempre più spesso accade nel nostro paese, e in maniera sempre più opprimente, il peso della propaganda ingigantisce a tal punto da spegnere qualsiasi possibilità di riflessione critica, di argomentazione dialettica, di antagonismo culturale e politico. E’ così, e in maniera assordante, anche in questa occasione della presentazione della nuova meraviglia del nostro territorio: il recupero e il ripristino dell’antica fornace, da fabbrica di mattoni a fabbrica delle idee.
Ma, per divenire fabbrica delle idee, dovremmo pur percepire che il progetto in questione sia in sé una forma significativa, ossia abitata da un’anima densa di memoria e capace di agire nel futuro. O se, al contrario, non sia un progetto senza memoria, un monumento muto, ennesima dimostrazione di una città che non ha saputo divenire comunità, che già da troppo tempo semplicemente non esiste.
Come può generare vita e idee qualcosa che nasce senza memoria e dunque senz’anima e perde nel suo farsi le ragioni del suo stesso esistere? Come potrebbe mai proporsi a museo di archeologia industriale se per primi son traditi il luogo e la struttura che dovrebbero custodire le importanti testimonianze della nostra storia? Eppure, scrutando attentamente il paesaggio antico di Agropoli su vecchie misteriose fotografie, la si scorge appena, isolata nella piana di Campamento, coi suoi colori di terra e di fumo, a fatica risalire dal bianco e nero del tempo lontano del ricordo. Testimonianze lacunose di un’antica presenza proprio per questo accampata “sulle pendici di una terra misteriosa”, nei luoghi di una lontananza assoluta dal nostro misero presente. E occhi attenti ne avrebbero accarezzato l’organico guscio a copertura della fatica di uomini antichi, situati anch’essi al limite estremo del nostro sogno.
Il risveglio è brutale. Un ingombrante e sopraelevato tetto a capanna a due falde si stacca dal corpo di fabbrica e cancella e schiaccia le armoniose forme organiche della “fornace”, le sue pareti inclinate, le testate curve, i pilastri che verticalmente si staccano accentuando il senso avvolgente della forma. Né recupero d’archeologia, né scatto creativo.
Non v’è il ricordo dei nostri Padri, non c’è niente di nuovo, “qualcosa che non si era mai visto e non si era mai immaginato”. Semmai la nostra oppressa immaginazione va alle sopraelevazioni industriali di tetti e sottotetti di quella che un tempo era una città di mare. Difficile trovare un “lastrìc a cielò” ancora libero.
Non v’è tensione progettuale, non v’è rispetto per l’organica volumetria di matrice espressionista (e qui si saldavano vertiginosamente la lezione della cultura popolare con i linguaggi delle avanguardie storiche ), non è ripristinato lo straordinario antico fondersi dell’impianto spaziale col guscio che l’avvolgeva. Non v’è più adesione alla terra, non v’è più tensione tra la terra e il cielo.
Perduta è per sempre la leggendaria poetica del non-finito dei nostri amati Padri fondatori.

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